Human Capital
Human Capital
Durata
98
Formato
Regista
Due adolescenti (Maya Hawke e Fred Hechinger) di diversa estrazione sociale sono implicati nelle indagini su un incidente che ha causato la morte di un uomo in bicicletta. Le rispettive famiglie (Liev Schreiber; Marisa Tomei; Peter Sarsgaard e Betty Gabriel) nascondono tradimenti e bugie tra relazioni clandestine e problemi finanziari ma sembrano non avere alcun legame con la vittima. È stata una tragedia o sono in qualche modo responsabili dell’accaduto?
Il romanzo omonimo scritto da Stephen Amidon era stato fonte di ispirazione per Il capitale umano diretto da Paolo Virzì nel 2013 e anche in questa libera trasposizione di Marc Meyers il procedere narrativo è scandito in capitoli per ricostruire il quadro completo degli eventi che conducono allo svelamento finale. La regia sembra guardare direttamente al precedente italiano del quale riprende inquadrature e ambientazioni (soprattutto nella prima parte) ma, pur rimanendo invariato anche il tono generale, che conserva il cinismo della critica sociale, a mancare è quella contestualizzazione che nel caso nostrano aveva portato a un’attualizzazione complessa con inquietanti rimandi alla realtà italiana. Insomma, il meccanismo è oliato a dovere, il cast è al limite dell’accettabile ma fa del suo meglio per dare voce ai disillusi membri di una società moderna, evoluta ma priva di umanità. Il risultato è asettico e vuoto perché nonostante il nucleo tematico siano i problematici rapporti interpersonali, a mancare è proprio una sincerità di fondo che permetta alla sceneggiatura di staccarsi dalla finzione diegetica per elevarsi a riflessione sulla società contemporanea, che riesce a mercificare e monetizzare anche la vita umana.
Il romanzo omonimo scritto da Stephen Amidon era stato fonte di ispirazione per Il capitale umano diretto da Paolo Virzì nel 2013 e anche in questa libera trasposizione di Marc Meyers il procedere narrativo è scandito in capitoli per ricostruire il quadro completo degli eventi che conducono allo svelamento finale. La regia sembra guardare direttamente al precedente italiano del quale riprende inquadrature e ambientazioni (soprattutto nella prima parte) ma, pur rimanendo invariato anche il tono generale, che conserva il cinismo della critica sociale, a mancare è quella contestualizzazione che nel caso nostrano aveva portato a un’attualizzazione complessa con inquietanti rimandi alla realtà italiana. Insomma, il meccanismo è oliato a dovere, il cast è al limite dell’accettabile ma fa del suo meglio per dare voce ai disillusi membri di una società moderna, evoluta ma priva di umanità. Il risultato è asettico e vuoto perché nonostante il nucleo tematico siano i problematici rapporti interpersonali, a mancare è proprio una sincerità di fondo che permetta alla sceneggiatura di staccarsi dalla finzione diegetica per elevarsi a riflessione sulla società contemporanea, che riesce a mercificare e monetizzare anche la vita umana.