Nel Kurdistan martoriato dalla guerra tra Iran e Iraq, un gruppo di insegnanti vaga tra le montagne, alla ricerca di allievi. Uno di questi (Said Mohamadi) si aggrega a un gruppo di anziani profughi che vuole superare il confine e si innamora della figlia di uno di loro (Behnaz Jafari); un altro (Bahman Ghobadi) segue dei ragazzini che trasportano merce di contrabbando.

Opera seconda di Samira Makhmalbaf dopo La mela (1998), da lei sceneggiata insieme al padre regista Mohsen e a Zaheer Qureshi, è il nuovo capitolo di un viaggio nella difficile realtà del proprio Paese (in questo caso, tra uno dei popoli più emarginati al mondo). Lo scenario è un recente passato bellico di cui la regista mette in scena tutta l'assurdità, dipingendo un'odissea picaresca – con momenti perfino surreali e divertenti – in un paesaggio lunare che sembra l'ultimo avamposto di un'umanità allo sbando. La giovane figlia d'arte ha ancora molto da imparare, soprattutto nella gestione del ritmo, ma il suo simbolismo visivo è affascinante: l'immagine dei maestri che arrancano con le lavagne sulle spalle, in una disperata ricerca di salvezza dall'estrema povertà e dall'ignoranza, non si dimentica facilmente. Premio della giuria, un po' generoso, al 53° Festival di Cannes. L'attore Bahman Ghobadi è anche regista, autore tra l'altro di Il tempo dei cavalli ubriachi (2000).
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