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Dramma in una famiglia indigente di Teheran: il padre (Ghorban Ali Naderi) tiene segregate per anni in casa la moglie cieca (Zahra Saghrisaz) e le due figlie (Massoumeh Naderi e Zahra Naderi), che crescono isolate e mentalmente disabili. Dopo una temporanea liberazione, i servizi sociali le riaffidano al padre, ma interviene un'ostinata funzionaria (Azizeh Mohamadi).



A soli diciotto anni, Samira Makhmalbaf, figlia del maestro del cinema iraniano Mohsen, inaugura la sua precocissima carriera dietro la macchina da presa con questa docu-fiction che racconta un incredibile fatto di cronaca. Gli “attori” sono i veri protagonisti della vicenda e la regista li filma dapprima con stile da reportage, per poi virare nei toni del realismo poetico. Sceneggiato dall'autrice insieme al padre-mentore, è il classico “film da festival”, apprezzato dalla critica ma poco digeribile al pubblico: al di là dei suoi intenti di cinema di denuncia, la Makhmlabaf cerca il lirismo nei gesti di due creature innocenti, l'amore in una desolante realtà dove pure il degrado e l'ignoranza hanno il sopravvento. Non tutto è riuscito ed efficace, anzi, ma il talento c'è e le riflessioni messe in campo sono tutt'altro che banali.
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