Maria Stuarda regina di Scozia
Mary, Queen of Scots
Durata
128
Formato
Regista
Appena tornata in Scozia, Mary Stuart (Vanessa Redgrave) deve confrontarsi con una schiera di nobili protestanti che non la riconosce come regina. La vita politica è strettamente legata a quella amorosa e la relazione con Lord Dudley (Timothy Dalton) è solo uno dei motivi che conduce all’inimicizia con Elisabetta I (Glenda Jackson).
La trama non è nuova e l’approccio è quello del tipico filmone in costume che mescola eventi reali a vicissitudini romanzate senza particolare cura per la verità storica. L’attenzione data alla spettacolarizzazione colloca l’operazione nel solco delle grandi produzioni che puntano su un assetto formale sontuoso per rivestire di epicità le vicende narrate. Scenografie e paesaggi, trucco e costumi, tutta la ricca mise en scene concorre alla costruzione di un quadro barocco accurato che però, tra gorgiere, arazzi e drappeggiate stanze di palazzo, offusca l’umanità di tutti i personaggi. Tra i numerosi comprimari, menestrelli macchiettistici e cortigiani simili a fantocci, svetta la Jackson che catalizza l’attenzione interpretando un’Elisabetta invidiosa e avida di potere, contraltare forse eccessivamente caricaturale che si oppone alla Stuart della Redgrave (candidata all’Oscar). La fisicità e il portamento dell’attrice protagonista sono azzeccati ma l’imprinting agiografico della sceneggiatura non permette l’emersione del complesso spirito femminile che nonostante il potere si conserva sensibile e romantico. Insomma, il risultato è un susseguirsi di lutti, violenze e soprusi in pompa magna, che disperdono l’attenzione dalla parabola evolutiva di una regina che risulta debole e sconfitta su tutti i fronti fin dall’inizio.
La trama non è nuova e l’approccio è quello del tipico filmone in costume che mescola eventi reali a vicissitudini romanzate senza particolare cura per la verità storica. L’attenzione data alla spettacolarizzazione colloca l’operazione nel solco delle grandi produzioni che puntano su un assetto formale sontuoso per rivestire di epicità le vicende narrate. Scenografie e paesaggi, trucco e costumi, tutta la ricca mise en scene concorre alla costruzione di un quadro barocco accurato che però, tra gorgiere, arazzi e drappeggiate stanze di palazzo, offusca l’umanità di tutti i personaggi. Tra i numerosi comprimari, menestrelli macchiettistici e cortigiani simili a fantocci, svetta la Jackson che catalizza l’attenzione interpretando un’Elisabetta invidiosa e avida di potere, contraltare forse eccessivamente caricaturale che si oppone alla Stuart della Redgrave (candidata all’Oscar). La fisicità e il portamento dell’attrice protagonista sono azzeccati ma l’imprinting agiografico della sceneggiatura non permette l’emersione del complesso spirito femminile che nonostante il potere si conserva sensibile e romantico. Insomma, il risultato è un susseguirsi di lutti, violenze e soprusi in pompa magna, che disperdono l’attenzione dalla parabola evolutiva di una regina che risulta debole e sconfitta su tutti i fronti fin dall’inizio.