
Red Zone – 22 miglia di fuoco
Mile 22
Durata
94
Formato
Regista
Indonesia. 22 sono le miglia che l'agente della CIA James Silva (Mark Wahlberg) deve percorrere per giungere in aeroporto: insieme alla sua squadra deve scortare e proteggere un informatore compromesso. Durante il lungo percorso dovrà scontrarsi con funzionari corrotti, signori della malavita e fuorilegge armati pronti a tutto.
L’attore e regista Peter Berg, alfiere del cinema muscolare a stelle e strisce, si cimenta con un thriller spionistico dalla confezione serrata e dal montaggio segmentato e rutilante: un’operazione che mira a sfidare e a svelare gli scheletri nell’armadio dell’Intelligence, le sue zone d’ombra e i suoi pilastri costitutivi. Il risultato è un prodotto vigoroso e muscolare, ma con al suo interno una forte componente verbosa, esplicativa, persino satirica: Berg, avvalendosi della forte presenza in scena di Mark Wahlberg, deus ex machina dell’operazione oltre che produttore esecutivo, confeziona infatti una spirale di eventi che si lascia fortemente attraversare dagli scenari e dalle implicazioni della politica contemporanea, prende per mano lo spettatore e gli elargisce un’ora e mezza di intrattenimento fatto di battute taglienti, riferimenti acidi, brusche impennate e salti altrettanto repentini. Il risultato è interessante nelle premesse ma non sempre a fuoco, perché le punch-line a effetto superano spesso il livello di guardia (fino a stonare) e le provocazioni, il più delle volte, appaiono troppo sornione e compiaciute. Questa tendenza piuttosto smaliziata alla strizzata d’occhio finisce anche per divorare l’efficacia della tensione e dei suoi meccanismi. A dispetto di tali limiti, Red Zone – 22 miglia di fuoco rimane comunque un curioso manufatto d’azione che tenta di smascherare, a suo modo, i panni sporchi dell’America nella fase di transizione dalla presidenza di Barack Obama a quella di Donald Trump (evocato a più riprese, com’è facile immaginare).
L’attore e regista Peter Berg, alfiere del cinema muscolare a stelle e strisce, si cimenta con un thriller spionistico dalla confezione serrata e dal montaggio segmentato e rutilante: un’operazione che mira a sfidare e a svelare gli scheletri nell’armadio dell’Intelligence, le sue zone d’ombra e i suoi pilastri costitutivi. Il risultato è un prodotto vigoroso e muscolare, ma con al suo interno una forte componente verbosa, esplicativa, persino satirica: Berg, avvalendosi della forte presenza in scena di Mark Wahlberg, deus ex machina dell’operazione oltre che produttore esecutivo, confeziona infatti una spirale di eventi che si lascia fortemente attraversare dagli scenari e dalle implicazioni della politica contemporanea, prende per mano lo spettatore e gli elargisce un’ora e mezza di intrattenimento fatto di battute taglienti, riferimenti acidi, brusche impennate e salti altrettanto repentini. Il risultato è interessante nelle premesse ma non sempre a fuoco, perché le punch-line a effetto superano spesso il livello di guardia (fino a stonare) e le provocazioni, il più delle volte, appaiono troppo sornione e compiaciute. Questa tendenza piuttosto smaliziata alla strizzata d’occhio finisce anche per divorare l’efficacia della tensione e dei suoi meccanismi. A dispetto di tali limiti, Red Zone – 22 miglia di fuoco rimane comunque un curioso manufatto d’azione che tenta di smascherare, a suo modo, i panni sporchi dell’America nella fase di transizione dalla presidenza di Barack Obama a quella di Donald Trump (evocato a più riprese, com’è facile immaginare).