Mommy
Mommy
Durata
139
Formato
Regista
Vedova single con un precario lavoro di traduttrice, Diane 'Die' Després (Anne Dorval) deve affrontare la non facile convivenza con l'adorato e sensibile figlio Steven (Antoine-Olivier Pilon), affetto da un disturbo mentale che talvolta lo porta a essere violento, appena espulso dal centro di recupero in cui era in cura a causa di insubordinazione. All'interno della “coppia” si inserisce l'insofferente Kyla (Suzanne Clément), vicina di casa di Diane soffocata dalla routine familiare. I tre inizieranno una straordinaria parabola che li porterà a scelte di vita dolorose ma, forse, necessarie.
«Non esiste che una madre possa smettere di amare il proprio figlio». Scritto, diretto e montato dall'enfant prodige Xavier Dolan, regista canadese classe 1989 al suo quinto lungometraggio, Mommy rappresenta la definitiva maturazione di un autore che, dimostrando un'invidiabile coerenza tematica, è riuscito con questa opera a comporre un ritratto sulla fragilità, le contraddizioni e l'insostenibile carico di viscerali emozioni che intercorrono nel rapporto umano più complesso a cui si possa fare riferimento, ovvero quello tra madre e figlio. Sentimenti speculari, a volte stridenti, ma sempre autentici: Diane e Steven si rispecchiano l'uno nell'altra sovvertendo i rispettivi ruoli precostituiti a causa di un deficit esistenziale che passa dall'amore, dall'odio, dall'assenza della figura paterna, dal rifiuto di crescere, dalla regressione infantile (sottolineata dalla colonna sonora anni '90 incisa sul CD Die+Steve Mix 4ever). Lo sguardo intimista esaltato dal formato 1:1 con cui è girata la pellicola per restituire un'idea della condizione claustrofobica in cui vivono i protagonisti, si allarga in due, significativi, passaggi che esemplificano l'illusione di una felicità destinata a svanire, filtrata dal distacco della classica finzione cinematografica widescreen (Steven che ricompone uno sghembo quadro familiare dopo la ri-nascita e Diane che proietta la propria mente in un effimero futuro di speranza). Straordinariamente significativa la sequenza del ballo in casa, in cui i tre protagonisti esprimono le proprie emozioni (libertà, indipendenza, utopico appagamento) rivendicando la propria identità e quella di una nazione intera (non a caso il brano di accompagnamento è On Ne Change Pas della canadese Céline Dion). In un trio di superbi attori, spicca la dolente intensità di Anne Dorval, oltre al talento cristallino del biondo Antoine-Olivier Piton, immerso ora in tonalità giallo-oro, ora in colori metallici. Presentato in concorso al Festival di Cannes, dove ha ottenuto il Premio della giuria ex-aequo con Adieu au langage (2014) di Jean-Luc Godard.