L’isola di Andrea
Durata
105
Formato
Regista
Andrea ha otto anni, è figlio unico ed è al centro di una battaglia legale per l’affido dopo la separazione dei genitori. Mentre il papà (Vinicio Marchioni) e la mamma (Teresa Saponangelo) tentano di chiarire a loro stessi i motivi che hanno portato alla rottura della loro relazione, Andrea prova faticosamente a cercare il suo posto nel mondo.
Superati gli ottant'anni e giunto al suo undicesimo lungometraggio, il regista napoletano Antonio Capuano si riannoda al discorso cinematografico con cui ha cominciato la sua carriera: un cinema “liberato” dai bambini, che nei più giovani individua gli avamposti privilegiati di resistenza contro l’omologazione e il conformismo. Pur senza raggiungere gli eccessi che hanno reso unici e controversi titoli come Vito e gli altri (1991) o Pianese Nunzio, 14 anni a Maggio (1996), Capuano torna con questo film, molto vicino per tematiche e tonalità espressive a La guerra di Mario (2005), a osservare un bambino cogliendone la zona d’ombra al confine tra resilienza e disagio. Il piccolo Andrea interessa a Capuano nel momento in cui tenta di resistere alla schiacciante forza degli eventi che travolgono il suo nucleo familiare con le armi della sua età: la vitalità selvaggia ed anarchica, l’emotività esplosiva, la fantasia unita ad uno sguardo non contaminato, in grado di cogliere l’essenza profonda delle cose. Capacità che manca ad entrambe le figure genitoriali, due adulti incapaci di comprendere fino in fondo la tragedia che vivono e fanno vivere al figlio, tratteggiati dal regista con tocchi che ne esaltano tutta l’immaturità. Sul piano stilistico il regista non rischia molto ma non rinuncia comunque al suo modo consueto di giocare con le forme del racconto e della messa in scena: insieme ai consueti inserti di cinema nel cinema (questa volta ad essere riutilizzato è l’anime Vampire Hunter D: Bloodlust) e alla presenza ricorrente di animali-simbolo, c’è spazio anche per una breve sequenza animata e per un intreccio musicale che spazia da Ravel agli Alunni del Sole. Ed è proprio nei momenti in cui il meccanismo narrativo, centrato sulla rigorosa e monotona ricostruzione delle varie fasi del procedimento giudiziario, si scardina che il film si apre all’inatteso e offre i suoi squarci migliori. Fino ad arrivare a uno splendido finale, con una rottura di quarta parete che sostanzia l’intera operazione e suggella come in epigrafe il canto di un cineasta speciale, non riconciliato e destabilizzante, come Antonio Capuano. Presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.