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Intervistando giovani e anziani, Eleonora Danco vuole provare a sviscerare la società nostrana a trecentosessanta gradi. Le sue domande vertono sulla privacy, sulla morte, sul lavoro e su numerose questioni sociali. Ovviamente, le differenze generazionali emergono, testimoniando i netti cambiamenti che il tempo ha portato con sé.
Eleonora Danco, che in passato ha avuto modo di interpretare piccoli ruoli in film come La stanza del figlio (2001) di Nanni Moretti o Romanzo criminale (2005) di Michele Placido, è una regista da sempre attiva in ambiente teatrale e artistico, che con questo lavoro sembra voler usare la pellicola per sfruttare tutte le sue competenze, cinematografiche e non. Infatti N-Capace si palesa come un documentario, ma tra un intervento e l'altro degli intervistati, la protagonista è la stessa regista, che presenta alcune sue performance dal taglio nettamente più teorico. Purtroppo è proprio questo l'elemento più debole del lavoro: se le testimonianze e le riflessioni che scaturiscono dalle affermazioni degli ospiti posti davanti la macchina da presa sono molto divertenti e curiose, l'autoreferenzialità dei segmenti autoriali finisce presto per irritare. La regista, attraverso l'uso di domande dirette ed esplicite, cerca di comprendere meglio le differenze generazionali e i mutamenti della società italiana intervistando giovani teenager e anziani pensionati, ognuno con i propri ricordi, le proprie paure e i propri sogni: un affresco umano, sincero e genuino che desta più di un sussulto. Quando però la regista si trasforma in “artista”, ecco che il film prende una piega più impalpabile e incomprensibile, mirata a risvegliare nello spettatore emozioni che stentano a palesarsi e fanno ben presto rimpiangere le parti prettamente documentaristiche. Il tutto, dunque, finisce per sembrare un po' forzato ed egocentrico, quasi come se la Danco ci tenesse a far sapere che è proprio lei la mente creativa dell'intera operazione.
Eleonora Danco, che in passato ha avuto modo di interpretare piccoli ruoli in film come La stanza del figlio (2001) di Nanni Moretti o Romanzo criminale (2005) di Michele Placido, è una regista da sempre attiva in ambiente teatrale e artistico, che con questo lavoro sembra voler usare la pellicola per sfruttare tutte le sue competenze, cinematografiche e non. Infatti N-Capace si palesa come un documentario, ma tra un intervento e l'altro degli intervistati, la protagonista è la stessa regista, che presenta alcune sue performance dal taglio nettamente più teorico. Purtroppo è proprio questo l'elemento più debole del lavoro: se le testimonianze e le riflessioni che scaturiscono dalle affermazioni degli ospiti posti davanti la macchina da presa sono molto divertenti e curiose, l'autoreferenzialità dei segmenti autoriali finisce presto per irritare. La regista, attraverso l'uso di domande dirette ed esplicite, cerca di comprendere meglio le differenze generazionali e i mutamenti della società italiana intervistando giovani teenager e anziani pensionati, ognuno con i propri ricordi, le proprie paure e i propri sogni: un affresco umano, sincero e genuino che desta più di un sussulto. Quando però la regista si trasforma in “artista”, ecco che il film prende una piega più impalpabile e incomprensibile, mirata a risvegliare nello spettatore emozioni che stentano a palesarsi e fanno ben presto rimpiangere le parti prettamente documentaristiche. Il tutto, dunque, finisce per sembrare un po' forzato ed egocentrico, quasi come se la Danco ci tenesse a far sapere che è proprio lei la mente creativa dell'intera operazione.
