Orphan
Árva
Durata
132
Formato
Regista
Budapest, 1957. Dopo la rivolta contro il regime comunista, il mondo di Andor, un ragazzino ebreo cresciuto dalla madre con narrazioni idealizzate sul padre defunto, viene sconvolto quando si presenta un uomo brutale che afferma di essere il suo vero padre.
Il terzo lungometraggio di László Nemes si apre con un’inquadratura che dà l’impressione di essere nascosti in un rifugio accanto al giovane protagonista, costretti a condividere con lui l’ansia e il respiro trattenuto. Così, il regista ungherese ci introduce immediatamente nel fragile mondo di Andor Hirsch, il giovane protagonista di Orphan, un film che ricostruisce l’esperienza traumatica di un’infanzia trascorsa in una Budapest umiliata e offesa, sfigurata dalle ombre della Storia. Nemes torna ad indagare la memoria storica del XX secolo, ma lo fa questa volta da una prospettiva intima e famigliare. Il regista de Il figlio di Saul (2015) scava all’interno delle memorie di famiglia, a cavallo tra le devastazioni dell’Olocausto e la tirannia del regime comunista. Attraverso un’operazione delicata e personale, Nemes mette in scena un frammento privato: il momento in cui suo padre dovette affrontare, all’età di dodici anni, un segreto destinato a sconvolgere le certezze sulla propria identità. L'autore ungherese cambia le carte in tavola: viene abbandonato lo stile registico consolidato nelle due pellicole precedenti - come le continue riprese di spalle o la ripetuta negazione dei naturali raccordi di sguardo dei suoi protagonisti - per lasciare spazio ai ripetuti scatti d’ira e alle interminabili corse a perdifiato del giovane Andor per le vie di Budapest. La cinepresa apre la scala dei campi, respira a pieni polmoni come il suo protagonista che scappa da una città ostile e minacciosa ma anche dalle tante domande su chi sia veramente suo padre che lo continuano a tormentare. Nonostante il cambiamento formale, non sempre azzeccato del tutto, Nemes rimane sempre fedele ai grandi temi del suo cinema: il rapporto con le ombre e le inquietudini della Storia riflesse negli sguardi e nelle azioni dei personaggi, la disumanità imperante del XX secolo, la ricerca incessante di un affetto perduto da parte dei suoi protagonisti (qui una presunta figura paterna venerata e idealizzata, in Tramonto un fratello mai conosciuto, un figlio nel suo primo film). Lungo il percorso il film risulta meno potente e travolgente rispetto ai lavori precedenti, soprattutto a causa di qualche ridondanza di troppo. Tuttavia, anche con il suo terzo lungometraggio Nemes, grazie soprattutto a una cura formale notevole, riesce a comporre l’ennesima struggente sinfonia del Novecento: un racconto tanto personale quanto universale, in grado di intrecciare Storia e memoria e di riflettere sul peso dell’eredità e sul trauma di crescere in un mondo che non concede tregua, nemmeno a un ragazzino. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2025.