La storia inconcludente e cialtrona, tra realtà e mito, dei fratelli Carmelo e Salvatore La Marca (Luigi Maria Burruano e Franco Scaldati), degli Ed Wood palermitani ante litteram che mettono in piedi la "Trinacria cinematografica", società di produzione che vorrebbe dar vita a una sorta di Hollywood siciliana.

Di sicuro il film più accessibile e rasserenato di Ciprì e Maresco, Il ritorno di Cagliostro è il racconto divertito di una curiosa parabola sulle origini del cinema strettamente legato alla loro Sicilia, ammantata qui come non mai di nostalgia tiepida e brio archeologico. Un mockumentary particolarissimo, e che, nonostante il tono brillante, cela al suo interno un'anima irrimediabilmente caustica e dissacratoria: pretesto per riflettere sui primordi del cinema a partire dalla propria provenienza geografica e culturale, giostrata tra le citazioni del muto e il cinema delle origini, con in più le testimonianze iniziali e rigorosamente autoironiche dei critici Gregorio Napoli e Tatti Sanguineti. Un mix che contribuisce a creare un'«antropologia visiva del passato» (Francesco Rosetti), condotta col sorriso sulle labbra e con la solita intelligenza dei due registi. Rispetto alla radicalità dei loro film precedenti (Lo zio di Brooklyn, del 1995, e Totò che visse due volte, del 1998), è impossibile non registrare il passo indietro e la limitatezza di un film che si ferma alla leggerezza cinefila, senza andare oltre.
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