Shorta
Shorta
Durata
108
Formato
Regista
In seguito alla morte del detenuto diciannovenne Talib, gli agenti Jens (Simon Sears) e Mike (Jakob Lohmann) vengono accoppiati per prestare servizio nel day after, con altissimo rischio di proteste e rappresaglie. Un’auto sospetta li porta nel quartiere-ghetto di Svalegården, dove i controlli di routine si trasformano in uno scontro armato in campo nemico.
Frederik Louis Hviid e Anders Ølholm esordiscono alla regia realizzando un action adrenalinico e denso di riflessioni sulle tensioni legate a discriminazioni sociali ed etniche. L’uscita dell’auto di pattuglia dalla centrale è l’inizio di una guerra priva di un nemico da combattere. Mike cerca lo scontro, cerca un bersaglio, ma è proprio nel territorio ostile di Svalegården che finisce per essere fagocitato dal confitto. A scendere in campo non sono tanto i giovani del quartiere e la polizia, unica rappresentazione tangibile del popolo danese, bensì i protagonisti e il loro punto di vista. La prima sequenza del film mostra due grandi pupille disegnate da una bambina sul cemento: le prospettive antitetiche di Jens e Mike entrano continuamente in collisione, fino a un’inversione palindromica ardita ma narrativamente coerente. Dopo aver perso fisicamente la vista, Mike ritrova la luce conoscendo la famiglia del giovane Amos, mentre Jens inizia a vacillare proprio nel momento in cui perde la fede nuziale che lo lega alla moglie. Il destino verso cui vanno incontro i due agenti riporta il focus sulla possibilità concreta di cambiare, di aprire gli occhi. Tuttavia, è impossibile non tornare con la memoria al recente lavoro di Ladj Ly ne I miserabili: se lo sguardo cinematografico dei due registi resta più vicino agli Stati Uniti, è altrettanto vero che il rischio è proporre qualcosa di già visto.
Frederik Louis Hviid e Anders Ølholm esordiscono alla regia realizzando un action adrenalinico e denso di riflessioni sulle tensioni legate a discriminazioni sociali ed etniche. L’uscita dell’auto di pattuglia dalla centrale è l’inizio di una guerra priva di un nemico da combattere. Mike cerca lo scontro, cerca un bersaglio, ma è proprio nel territorio ostile di Svalegården che finisce per essere fagocitato dal confitto. A scendere in campo non sono tanto i giovani del quartiere e la polizia, unica rappresentazione tangibile del popolo danese, bensì i protagonisti e il loro punto di vista. La prima sequenza del film mostra due grandi pupille disegnate da una bambina sul cemento: le prospettive antitetiche di Jens e Mike entrano continuamente in collisione, fino a un’inversione palindromica ardita ma narrativamente coerente. Dopo aver perso fisicamente la vista, Mike ritrova la luce conoscendo la famiglia del giovane Amos, mentre Jens inizia a vacillare proprio nel momento in cui perde la fede nuziale che lo lega alla moglie. Il destino verso cui vanno incontro i due agenti riporta il focus sulla possibilità concreta di cambiare, di aprire gli occhi. Tuttavia, è impossibile non tornare con la memoria al recente lavoro di Ladj Ly ne I miserabili: se lo sguardo cinematografico dei due registi resta più vicino agli Stati Uniti, è altrettanto vero che il rischio è proporre qualcosa di già visto.