Un padre (Romanin Duris) e un figlio (Paul Kircher) cercano di andare avanti con la loro vita in un mondo in cui alcuni umani hanno iniziato a mutare con altre specie animali. Molto presto, come sua madre, anche il ragazzo inizia a mostrare segni di una trasformazione che lo cambierà per sempre.

Dopo nove anni dall’esordio con The Fighters - Addestramento di vita (2014), il regista francese Thomas Cailley giunge alla sua seconda prova cinematografica con un film che ha ricevuto ben dodici nomination ai premi César ed è stato scelto come titolo d’apertura della sezione Un certain regard del Festival di Cannes 2023. The Animal Kingdom è un’opera che parte in medias res, tanto che ancora prima dei titoli di testa ci troviamo in pochi minuti immersi in un mondo segnato dalle mutazioni, i cui segni hanno coinvolto anche la famiglia del giovane protagonista, la cui madre è ormai un ibrido con un animale e finirà per fuggire nella giungla dopo un incidente. In questo percorso di (tras)formazione si notano i semi del coming-of-age simbolico, con lo spirito animalesco che diviene una metafora dell’esistenza del ragazzo al centro della trama, ma anche di un mondo che lui fatica a comprendere e in cui sta cercando di trovare il proprio posto. Girato con eleganza e forte di una buona confezione produttiva, The Animal Kingdom è un film che pecca un po’ di originalità, a causa di diverse svolte narrative troppo prevedibili e dei numerosi titoli che hanno trattato temi simili in passato. Nonostante questi limiti, però, il ritmo è alto e il coinvolgimento funziona per le oltre due ore di durata, grazie anche a una serie di sequenze ben assestate, tra le quali svetta la conclusione e una splendida scena notturna con padre e figlio che cercano di chiamare verso di loro la figura materna, attraverso la loro voce e una bella canzone. Seppur ci siano sequenze poco necessarie e passaggi eccessivamente didascalici, il disegno d’insieme sorprende e funziona per la messinscena e il lato umano di una sceneggiatura capace di toccare corde profonde e lasciare più di uno spunto di riflessione al termine della pellicola.
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