«C'è stato un risveglio. L'hai sentito?»

Un 2021 sfavillante (Annette, The Last Duel, House of Gucci), culmine di un'ascesa tanto impressionante quanto meritata: Adam Driver, 38 anni il 19 novembre, è uno degli interpreti più sorprendenti degli ultimi anni («Uno dei migliori attori, se non il migliore, della sua generazione. Quella che vedete davanti a voi è una grande presenza sullo schermo», parola di Martin Scorsese). Preciso tanto da essere tendente alla pignoleria, anticonvenzionale, antidivo, sfuggente a qualunque tipo di caratterizzazione (fisica o attoriale che sia), Driver si è fatto strada nel circuito cinematografico fino a diventare riferimento, oltre che particolare tipologia di sex symbol.

Figlio di genitori divorziati, innamorato fin da giovanissimo del teatro, Driver si arruola volontario nel corpo dei Marines dopo l'attentato dell'11 settembre («Avevo una gran voglia di fare qualcosa. Il nemico era nella mia testa, ma non aveva un volto. Sapevo solo di voler ripagare con la stessa moneta chiunque ci avesse attaccati») ma vede la carriera militare bruscamente interrotta da un infortunio (caduta da una mountain bike, lussazione dello sterno e conseguente congedo con onore). Il passo successivo, data la passione mai sopita per il palcoscenico, è l'iscrizione alla Juilliard School, cui segue l'audizione per la serie HBO Girls: la creatrice Lena Dunham ha raccontato di aver pensato «a questo non frega un cazzo» e, affascinata, l'ha reclutato. Successo planetario e trampolino di lancio per Driver che, da quel momento, non si è più fermato.

Corpo statuario e viso spigoloso, Driver passa dalle atmosfere nevrotiche di Girls ai set di Spielberg (Lincoln) e dei fratelli Coen (A proposito di Davis) per poi approdare ad Hungry Hearts di Saverio Costanzo, adattamento dal romanzo Il bambino indaco di Marco Franzoso e sorta di dramma orrorifico incentrato su un delirio materno, film grazie al quale vince la Coppa Volpi per il miglior attore alla Mostra del Cinema di Venezia. Arriva poi la grande occasione, ovvero la possibilità di entrare a fare parte del mitico universo di Star Wars: dopo l’acquisto di Lucasfilm nel 2012, Disney Pictures riporta in vita la saga cinematografica forse più amata, venerata, citata di tutti i tempi. Le avventure spaziali nella “galassia lontana, lontana”, nate dalla fantasia di George Lucas e da quattro decenni oggetto di un culto viscerale, si riaffacciano sullo schermo a partire da questo episodio VII, che va a ricongiungersi ai precedenti capitoli con rigoroso rispetto filologico. A Driver l'arduo compito di impersonare l'ambiguo Kylo Ren.

Lo step successivo vede l'ingresso nel grande mondo autoriale: Paterson con Jim Jarmusch (che lo vorrà ancora in I morti non muoiono) e Silence con Martin Scorsese, in un dramma storico che, partendo dalla chiusura nei confronti del mondo esterno del Giappone, indaga con lucida profondità le contraddizioni della fede, l'imperscrutabile volontà divina, l'incomunicabilità, l'incapacità di conciliare culture diverse, il silenzio di Dio di fronte alle sofferenze umane. Un film potente e umanissimo, per cui Driver perse oltre 20 kg («Non pensavo che avrei mai potuto arrivare così all’estremo»).

E poi ancora Steven Soderbergh, Terry Gilliam, Spike Lee e soprattutto Noah Baumbach, che con Storia di un matrimonio scrive e dirige una storia intima e fortemente emotiva firmando uno dei lavori più compiuti e incisivi della sua carriera: Driver e Scarlett Johansson giganteggiano, straziati da primi piani chirurgici e uniti da un'alchimia impareggiabile.

Ora questo 2021 con Leos Carax e Ridley Scott, senza dimenticare lo spot Burberry Hero che quest'estate ha infiammato i trend social, in cui Driver si trasforma in un centauro nel video diretto da Jonathan Glazer.
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