Nasceva il 4 ottobre del 1895, ben 125 anni fa, Buster Keaton, icona assoluta della slapstick comedy, noto per le sue straordinarie acrobazie che lo portarono a diventare uno dei più importanti attori (e poi registi) del cinema muto.
Ricordato anche per i suoi tanti soprannomi (dall’inglese The Great Stone Face all’italiano “Saltarello” con cui, ahinoi, era conosciuto nel nostro paese), Keaton è uno di quei volti che basta vedere una volta per innamorarsene perdutamente: iconico e semplicemente leggendario, autore di un cinema autonomo che tentava di far coesistere la logica della ricerca (che è amore per la settima arte) e quella di mercato (che ne è la negazione), come tanti suoi colleghi non riuscì purtroppo a superare l’avvento del sonoro, rimanendo ancorato al muto.
Eppure, anche col “parlato”, Keaton ha regalato alcuni straordinari momenti cinematografici, partecipando a capolavori assoluti con ruoli di grande spessore.
Per omaggiarlo al meglio, abbiamo pensato a un “3+3” di film e sequenze che l’hanno reso immortale: il primo gruppo dedicato al cinema muto; il secondo alle sue partecipazioni a film parlati.
Tre momenti del cinema muto
La palla n° 13 (1924)
Benché sia appena un mediometraggio, è il capolavoro di Buster Keaton e una delle più significative pellicole della storia del cinema muto (e non solo). Irresistibile parodia della saga di Sherlock Holmes (personaggio portato sul grande schermo sin dai primissimi anni del Novecento), conta una serie infinita di gag strepitose, che sintetizzano alla perfezione l'intelligente uso dello spazio e soprattutto la poesia intrinseca nella verve comica dell'attore-regista. Ma la grandezza del film sta soprattutto nella dimensione metacinematografica: la sequenza onirica in cui il protagonista entra letteralmente nel film è un vero e proprio miracolo tecnico che lascia a bocca aperta
Come vinsi la guerra (1926)
Diretto insieme a Clyde Bruckman e ispirato a fatti realmente accaduti raccontati in un romanzo di William Pettinger, è forse il film di Buster Keaton in cui la componente slapstick è più subordinata all'azione e all'avventura. È infatti prima di tutto cinema storico, ambizioso e imponente, girato con grande dispiego di mezzi e comparse, e caratterizzato da scene spettacolari (vedi il crollo del treno dal ponte, filmato dal vero senza trucchi né modelli; si dice che la locomotiva giaccia tuttora sul fondo di quel fiume). Ma a fare davvero la differenza qualitativa è l'impianto comico, che esalta e allo stesso tempo prende amabilmente in giro i valori bellici.
Il cameraman (1928)
Conosciuto anche come Io e la scimmia, è uno dei film giustamente più celebri e celebrati di Buster Keaton (da notare che, come molte altre volte, non fu accreditato alla regia). Nella semplicità della parabola (tragi)comica che si muove attorno al classico eroe keatoniano – goffo e maldestro, ma di animo puro – c'è tutta la poesia di uno dei Maestri del cinema (non solo muto), unita a un'acutissima ironia nei confronti dello stesso mezzo cinematografico. Quasi anticipando (ma da una prospettiva opposta) L'uomo con la macchina da presa di Dziga Vertov (che uscirà solo l'anno seguente), Keaton sembra voler scherzare sul potere del cinema, che può essere praticato anche da un innamorato pasticcione o da una scimmia. Eppure, al contempo, siamo di fronte a uno dei suoi film più densi di innovazioni nei movimenti della cinepresa, nelle scelte visive, nel tono surreale dei suoi numerosissimi sketch.
Tre momenti del cinema parlato
Viale del tramonto (1950)
Immortale capolavoro del cinema americano degli anni '50 e una delle più importanti pellicole cinematografiche di sempre, Viale del tramonto è, con ogni probabilità, il miglior film realizzato da Hollywood su se stesso e sullo star system. In un film che celebra il potere del cinema, mettendo Hollywood alla berlina e ragionando proprio attorno al passaggio dal muto al sonoro (Norma Desmond, la protagonista, è una ex diva del cinema muto che vive sognando un utopico ritorno sulla scena), Billy Wilder ha una serie straordinaria di idee geniali: far interpretare il maggiordomo all’immenso Eric von Stroheim (regista maledetto, proprio ai tempi del muto) e offrire a Keaton una piccola apparizione all’interno di una semplice, ma indimenticabile, partita di carte.
Luci della ribalta (1952)
Omaggio crepuscolare al mondo perduto del varietà londinese. Come non commuoversi quando in questo capolavoro di Charlie Chaplin, il regista inglese sale sul palco insieme al “rivale” di sempre, Buster Keaton, con cui condivide(va) lo scettro dei re proprio della slapstick comedy. Un momento memorabile, con i due attori ormai anziani, chiamati a interpretare sostanzialmente se stessi: una vera e propria gemma all’interno di un’opera in cui Chaplin ragiona sul potere del “muto”, sul tempo che passa, su un mondo dell’arte che non sente più suo.
Film (1965)
Geniale corto sperimentale che costituisce l'eccezionale incontro tra il grande drammaturgo Samuel Beckett e il cinema. L'autore di Aspettando Godot e Finale di partita scrive la sceneggiatura e il regista teatrale Alan Schneider dirige: l'azione si compone di poche scene in un essenziale bianco e nero, totalmente senza dialoghi né colonna sonora (il film è stato però musicato da diversi artisti nel corso degli anni). Grande icona del cinema muto qui in una delle sue ultime interpretazioni, Buster Keaton (scelto dopo aver preso in considerazione Charlie Chaplin, Zero Mostel e Jack MacGowran) regala una performance immensa (con una sola, tragicomica, gag) nei panni di O (the Object), che tenta disperatamente di sfuggire a E (the Eye, l'occhio della macchina da presa e, quindi, dello spettatore), ovvero a se stesso.