Matrix, tra wuxian e filosofia nella tana del bianconiglio
08/01/2022
«Knock, Knock...»

7 maggio 1999, alle porte del nuovo millennio, gli allora fratelli Andy e Larry (ora sorelle Lana e Lilly) Wachowski diedero alla luce uno dei film che maggiormente ha segnato il cinema a cavallo tra i due secoli, primo capitolo di una quadrilogia e vero e proprio spartiacque nel genere sci-fi: Matrix. (Se siete tra i grandi estimatori di questo capolavoro ma ancora dopo vent’anni fate fatica a mettere tutti gli ingranaggi a fuoco, allora iscrivetevi al nostro webinar di analisi del film!)
La realtà post-apocalittica in cui si muovono Neo/Thomas A. Anderson (Keanu Reeves), Morpheus (Laurence Fishburne), Trinity (Carrie-Anne Moss) e l’agente Smith (Hugo Weaving), è un luogo in cui è possibile coniugare filosofia e blockbuster, fantascienza e thriller, pensiero orientale e tecnologia occidentale, arti marziali e una vera passione per il cinema orientale.
«Conosco il Kung Fu»
Tra le sequenze più spettacolari e iconiche entrate nel mito c’è sicuramente lo scontro di arti marziali tra Neo e Morpheus, che avviene in una stanza di caricamento apposita, virtuale, ma non troppo. Il sapiente oscillare tra oriente e occidente, tra meditazione e azione, ha uno dei suoi momenti cardine in un chiaro omaggio al cinema wuxiapian, che trova in Jet-Li uno dei suoi interpreti maggiori: non è un caso che proprio da Fist of Legend si muovano i passi per questa sequenza, senza contare il fatto che il coreografo che si occupò del film, Yuen Woo-Ping, è stato poi chiamato per la realizzazione di Matrix.

Una sequenza che mescola slow-motion e movimenti di macchina rapidissimi, campi medi e primissimi piani, pause e azione: una vera e propria danza ipnotica tra kimono bianco e kimono nero (yin e yang?) accompagnata da una colonna sonora chiaramente di ispirazione orientale che, dopo i primi colpi, incontra note techno occidentali e decisamente più contemporanee. Senza tralasciare le argomentazioni filosofiche, vero e proprio fulcro di un’opera tanto complessa: «Credi sia aria, quella che respiri ora?». Il quesito è chiaramente retorico, ma porta nuovamente Neo a ricordare come stia vivendo una sorta di situazione di sogno (o incubo, a seconda dei punti di vista), in cui tutto è possibile, tutto è reale e allo stesso tempo non lo è, ma dove è la mente e non il corpo a comandare, al punto che chi li guarda dall’esterno esclama: «Accidenti se è veloce! Guarda i valori neurocinetici, sono sopra la norma». Lo scontro procede a un ritmo sempre più vertiginoso, arrivando al culmine quando il mentore Morpheus (nome non casuale, visto che si tratta di una sorta di illusione onirica), dopo numerosi colpi fisici, decide di sferrare quello definitivo alla mente del suo allievo, alla sua consapevolezza: «Non pensare di esserlo, convinciti di esserlo».
«Le hai finite»
«Anche tu»
La consapevolezza vera arriva quando Neo decide di non fuggire di fronte all’agente Smith in metropolitana e di affrontarlo, dando il la ad un’altra sequenza memorabile, capace di mescolare arti marziali e utilizzo di armi da fuoco, nello specifico delle pistole, i cui proiettili sfrecciano in slow motion accanto ai duellanti, fino a farli trovare faccia a faccia, ognuno con la canna puntata alla tempia dell’altro. Una citazione e omaggio evidente a The Killer, film del 1989 di John Woo, ma anche Hard Boiled, dello stesso regista di Hong Kong, in cui le pistole puntate direttamente sul volto sono vero e proprio elemento distintivo.

Dopotutto non è un mistero che Lilly e Lana Wachowski abbiano volutamente deciso, in chiave tipicamente postmoderna, di far proprie e rielaborare opere del cinema orientale, che si tratti di live action o di anime, come ad esempio Akira, di Katsuhiro Ōtomo, tra atmosfera cyberpunk e vari inseguimenti, presenti soprattutto in Matrix Reloaded, in cui, parlando di sequenze spettacolari e di arti marziali, è impossibile non citare lo scontro tra Neo e i cloni dell’Agente Smith. Inoltre, tra le opere più influenti dell’animazione nipponica, non si può dimenticare Ghost in the Shell, di Mamoru Oshii: i cavi nel collo delle persone risvegliate ne sono un chiaro rimando.
«È così facile dimenticare quanto rumore Matrix pompi nella tua testa»

Specchi, come rimando ad Alice di Lewis Carroll. Specchi, come quelli con cui Lana Wachowski gioca in Matrix Resurrections. Specchi per l’anima dei personaggi, ma anche per gli spettatori, consapevoli del fatto che, come agli albori di tutto, sia la domanda il vero chiodo fisso. Cypher, parlando con l’agente Smith dirà che «L’ignoranza è un bene»: Matrix ha provato a insegnarci tutto l’opposto: «Una cosa è conoscere il sentiero giusto, un'altra è imboccarlo».
Lorenzo Bianchi

7 maggio 1999, alle porte del nuovo millennio, gli allora fratelli Andy e Larry (ora sorelle Lana e Lilly) Wachowski diedero alla luce uno dei film che maggiormente ha segnato il cinema a cavallo tra i due secoli, primo capitolo di una quadrilogia e vero e proprio spartiacque nel genere sci-fi: Matrix. (Se siete tra i grandi estimatori di questo capolavoro ma ancora dopo vent’anni fate fatica a mettere tutti gli ingranaggi a fuoco, allora iscrivetevi al nostro webinar di analisi del film!)
La realtà post-apocalittica in cui si muovono Neo/Thomas A. Anderson (Keanu Reeves), Morpheus (Laurence Fishburne), Trinity (Carrie-Anne Moss) e l’agente Smith (Hugo Weaving), è un luogo in cui è possibile coniugare filosofia e blockbuster, fantascienza e thriller, pensiero orientale e tecnologia occidentale, arti marziali e una vera passione per il cinema orientale.
«Conosco il Kung Fu»
Tra le sequenze più spettacolari e iconiche entrate nel mito c’è sicuramente lo scontro di arti marziali tra Neo e Morpheus, che avviene in una stanza di caricamento apposita, virtuale, ma non troppo. Il sapiente oscillare tra oriente e occidente, tra meditazione e azione, ha uno dei suoi momenti cardine in un chiaro omaggio al cinema wuxiapian, che trova in Jet-Li uno dei suoi interpreti maggiori: non è un caso che proprio da Fist of Legend si muovano i passi per questa sequenza, senza contare il fatto che il coreografo che si occupò del film, Yuen Woo-Ping, è stato poi chiamato per la realizzazione di Matrix.

Una sequenza che mescola slow-motion e movimenti di macchina rapidissimi, campi medi e primissimi piani, pause e azione: una vera e propria danza ipnotica tra kimono bianco e kimono nero (yin e yang?) accompagnata da una colonna sonora chiaramente di ispirazione orientale che, dopo i primi colpi, incontra note techno occidentali e decisamente più contemporanee. Senza tralasciare le argomentazioni filosofiche, vero e proprio fulcro di un’opera tanto complessa: «Credi sia aria, quella che respiri ora?». Il quesito è chiaramente retorico, ma porta nuovamente Neo a ricordare come stia vivendo una sorta di situazione di sogno (o incubo, a seconda dei punti di vista), in cui tutto è possibile, tutto è reale e allo stesso tempo non lo è, ma dove è la mente e non il corpo a comandare, al punto che chi li guarda dall’esterno esclama: «Accidenti se è veloce! Guarda i valori neurocinetici, sono sopra la norma». Lo scontro procede a un ritmo sempre più vertiginoso, arrivando al culmine quando il mentore Morpheus (nome non casuale, visto che si tratta di una sorta di illusione onirica), dopo numerosi colpi fisici, decide di sferrare quello definitivo alla mente del suo allievo, alla sua consapevolezza: «Non pensare di esserlo, convinciti di esserlo».
«Le hai finite»
«Anche tu»
La consapevolezza vera arriva quando Neo decide di non fuggire di fronte all’agente Smith in metropolitana e di affrontarlo, dando il la ad un’altra sequenza memorabile, capace di mescolare arti marziali e utilizzo di armi da fuoco, nello specifico delle pistole, i cui proiettili sfrecciano in slow motion accanto ai duellanti, fino a farli trovare faccia a faccia, ognuno con la canna puntata alla tempia dell’altro. Una citazione e omaggio evidente a The Killer, film del 1989 di John Woo, ma anche Hard Boiled, dello stesso regista di Hong Kong, in cui le pistole puntate direttamente sul volto sono vero e proprio elemento distintivo.

Dopotutto non è un mistero che Lilly e Lana Wachowski abbiano volutamente deciso, in chiave tipicamente postmoderna, di far proprie e rielaborare opere del cinema orientale, che si tratti di live action o di anime, come ad esempio Akira, di Katsuhiro Ōtomo, tra atmosfera cyberpunk e vari inseguimenti, presenti soprattutto in Matrix Reloaded, in cui, parlando di sequenze spettacolari e di arti marziali, è impossibile non citare lo scontro tra Neo e i cloni dell’Agente Smith. Inoltre, tra le opere più influenti dell’animazione nipponica, non si può dimenticare Ghost in the Shell, di Mamoru Oshii: i cavi nel collo delle persone risvegliate ne sono un chiaro rimando.
«È così facile dimenticare quanto rumore Matrix pompi nella tua testa»

Specchi, come rimando ad Alice di Lewis Carroll. Specchi, come quelli con cui Lana Wachowski gioca in Matrix Resurrections. Specchi per l’anima dei personaggi, ma anche per gli spettatori, consapevoli del fatto che, come agli albori di tutto, sia la domanda il vero chiodo fisso. Cypher, parlando con l’agente Smith dirà che «L’ignoranza è un bene»: Matrix ha provato a insegnarci tutto l’opposto: «Una cosa è conoscere il sentiero giusto, un'altra è imboccarlo».
Lorenzo Bianchi