In un paesino della Thailandia, un pescatore trova casualmente un uomo ferito, svenuto in una foresta.
Il regista thailandese Phuttiphong Aroonpheng, con alle spalle studi di belle arti a Bangkok e a New York, firma un doloroso e lancinante esordio nel lungometraggio che capitalizza la sua esperienza come direttore della fotografia e regista di cortometraggi. In scia alla lezione del connazionale Apichatpong Weerasethakul, il giovane cineasta realizza un’opera prima che si fa carico di silenzi protratti e ieratici e inquadrature dal forte taglio autoriale, dilatate a più riprese in direzione del tableau vivant. Temi come l’identità e la sua perdita, lo scombussolamento esistenziale, l’amnesia dell’empatia e il disagio dello stare al mondo trovano posto in un prodotto certo ostico, in cui il confine col manierismo è talvolta labile e imperscrutabile, ma anche rarefatto, ad alto tasso di implicazioni simboliche, stratificazioni e raffinatezze visive, con sullo sfondo il tema dei rifugiati rohingya, che da Myanmar tentano di raggiungere la vicina Thailandia. I tratti più involuti della narrazione vengono riscattati a più riprese dalla componente onirica ed evocativa delle immagini, costruite con una scarnificazione pronta a suggerire ricadute inconsce e tutt’altro che auto-conclusive e fini a se stesse. Vincitore della sezione Orizzonti alla 75esima edizione della Mostra di Venezia.