Quando non ci sarà più posto all'inferno, i morti cammineranno sulla terra.
In un momento in cui le immagini e le notizie che ci arrivano dai media di informazione sembrano essere figlie più di uno scenario da film dell’orrore che della realtà, è impossibile non pensare a un grande maestro del genere orrorifico: George A. Romero. Il regista newyorkese, venuto tristemente a mancare pochi anni fa, ha sempre portato avanti un’idea di cinema dal forte impatto politico e sociale. Il genere viene quindi modellato e piegato alla volontà dell’artista, diventando un mezzo per veicolare domande e riflessioni sulla natura umana: in particolar modo ci si interroga su quali possano essere le azioni e le reazioni dell’uomo se calato in scenari apocalittici. Nella filmografia di Romero è di fondamentale rilevanza il filone di pellicole dedicate ai non morti: va dato merito infatti al regista di aver apportato una rivisitazione di questi mostri che, essendosi discostati dalle loro origini legate alla magia nera haitiana, sono diventati creature mosse da un istinto primordiale.

Nel film La notte dei morti viventi (1968), capostipite del filone, a essere messo sotto la lente di ingrandimento romeriana è il piccolo nucleo della comunità americana. Esso esce inevitabilmente sconfitto da questa sorta di esperimento sociologico: nonostante i personaggi siano legati a doppio filo da una minaccia comune, a prevalere non è lo spirito di collaborazione, bensì l’astio e il risentimento. Feroce critica a un’America guerrafondaia e violenta che vede nel prossimo, e in particolar modo nel diverso, il nemico da abbattere: «Bel colpo. Okay, è morto, andiamo a prenderlo, ce n'è un altro da fare arrosto!». Il film esce proprio negli anni in cui l’intero paese è scosso dai movimenti per i diritti civili.

Zombi, il titolo originale è Dawn of the Dead, (1978) è il secondo capitolo di questa saga ideale. In quest’opera Romero allarga lo spettro d’indagine, andando quindi ad analizzare azioni e reazioni di una società capitalistica, in cui l’assalto al centro commerciale altro non è che una metafora delle masse consumistiche: i non morti, i vivi, e i manichini presenti nei negozi, ormai si confondono l’uno con l’altro; ognuno è irrimediabilmente svuotato dalla propria essenza umana ed è mosso esclusivamente da istinti e bisogni (più o meno) primordiali. È la vorace fame, ora di carne, ora di merci e servizi, a muovere la società.

Nel terzo capitolo della saga, Il giorno degli zombi (1985), l’analisi del regista si concentra su un mondo che è ormai sull’orlo del collasso. Militari, civili e scienziati sono costretti a una convivenza forzata. Novità dell’opera è però una riflessione sulla figura dei non morti che, per la prima volta, suscitano la pietà e l’empatia dello spettatore. L’interrogativo che viene posto all’attenzione dello spettatore è di stampo etico: e se queste creature fossero senzienti e avessero mantenuto un barlume di umanità? Ancora una volta è il mostro a risultare più umano dell’uomo stesso.

La terra dei morti viventi (2005) è il quarto capitolo di questo ciclo. A essere messo in scena è un ritratto dell’America post 11 settembre: il grattacielo di Kaufman e la minaccia di questa invasione strisciante richiamano molto le tematiche legate all’attacco terroristico. Feroce condanna agli uomini ricchi e di potere che, asserragliati nelle loro torri d’avorio, condannano il resto della popolazione a vivere in baraccopoli ben nascoste alla loro vista.

Con gli ultimi due film, Diary of the Dead (2007) e Survival of the Dead (2009), Romero dimostra freschezza e intelligenza nel cogliere alcuni punti fondamentali dell’era digitale (l’ossessione di documentare e archiviare a ogni costo), per quanto riguarda il primo, e grande maestria nell’amalgamare vari generi (il film ha forti tratti western), per quanto concerne il secondo.
Simone Manciulli