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I mostri invisibili di Steven Spielberg
In attesa di poter godere dello spettacolo dell'imminente West Side Story, stiamo ripercorrendo, con un percorso a tappe, alcuni aspetti fondamentali del cinema di Steven Spielberg. Dopo gli esordi di Duel, la parentesi dedicata all'11 settembre e quella dedicata all'infanzia, oggi è la volta di fare i conti con uno dei tratti più sottovalutati del regista di Cincinnati: la sua capacità di incutere terrore.



Fiabesco, immaginifico, coloratissimo… il cinema di Steven Spielberg è ricordato spesso con questi o simili aggettivi, improntati giustamente nel descriverlo come un passaggio fondamentale (se non obbligato, in alcuni casi) nella crescita di tutti noi. Eppure, in pochi pongono l’attenzione sulla vena più macabra, grottesca e, perché no, horror del regista di Cincinnati. Sin dal suo esordio sul grande schermo, Duel (1971), la filmografia di Spielberg si nutre di mostri o presunti tali. Se però la figura mefistofelica non viene spesso intercettata o ricordata dalla maggior parte del pubblico, un motivo c’è eccome. Spielberg ha infatti deciso di trattare a più riprese questo tema, ma in una maniera sottaciuta, nascosta, a tratti anche subdola. Motivo per cui da un lato le sue creature più tenebrose non vengono ricordate, dall’altro, proprio perché “invisibili”, si presentano spesso come ancora più terrificanti. Il cinema di Spielberg è un cinema di mostri. Mostri con cui siamo spesso costretti a fare i conti quotidianamente, pur senza accorgercene.

Spielberg è probabilmente uno dei registi più attenti al lavoro di messa in scena. Il suo cinema risulta così di impatto e coinvolgente proprio perché capace di utilizzare tutti gli elementi della macchina produttiva per emozionare il pubblico e calarlo in una storia. Sembra un’ovvietà, ma sono in pochi gli autori che hanno una tale fede nelle potenzialità filmiche da venerarle e adoperarle all’unisono. Ogni elemento, dal colore dei costumi alle decorazioni scenografiche, dalla posizione della cinepresa all’inserimento della colonna sonora, passando ovviamente per la luce e il ritmo scandito dal montaggio, è pensato, ricercato e realizzato per abbagliare il pubblico. Per un regista ispirato da questa precisione, risulta allora ancor più interessante notare come, per la maggior parte delle sequenze di tensione o paura, la scelta sia quella di lavorare in sottrazione, nascondendo o, meglio ancora, accennando il macabro senza poi mostrarlo nella sua essenza.



Proprio su questo concetto, sull’atto del mostrare (per il regista) e del guardare (per il pubblico) si concretizza il dialogo più interessante e affascinante tra Spielberg e i suoi spettatori. Nessuno vede il volto del camionista di Duel. Nessuno vede il corpo possente dello squalo durante la scena del primo attacco. Nessuno vede i velociraptor di Jurassic Park (1993) sbranare il bovino. Nessuno vede le cause o gli effetti (dove sono i corpi?) dell’atterraggio di fortuna in La guerra dei mondi (2005). Nessuno vede i soldati tedeschi pronti a respingere la sortita degli alleati sulle coste della Normandia in Salvate il soldato Ryan (1998). Nessuno, né il pubblico, né i protagonisti delle relative storie, vede niente. 

I mostri, nel cinema di Steven Spielberg, ci sono ma non si vedono. I mostri di Spielberg non si mostrano. Per questo motivo sono così spaventosi, così terrificanti. Forte della fiducia cieca nei confronti di quest’arte, l'autore sa benissimo che il cinema non riuscirà comunque mai a scalzare la potenza dell’immaginazione. Le sensazioni che i suoi film fanno scaturire hanno lo scopo di mettere in moto le proiezioni visive del pubblico che, da solo e in autonomia, provvederà a colmare la lacuna interpretativa. Tutto è celato, tutto è invisibile, proprio perché è nella loro assenza che i mostri più terribili manifestano la loro presenza. 



Il cinema di Spielberg prima esalta l’incredibile, l’impossibile, che può materializzarsi solo grazie al grande schermo (la clonazione dei dinosauri, l’amicizia con un alieno, ecc), poi però racconta il fascino perverso e subdolo che suddetto schermo ha nei confronti di chi guarda. Spielberg costruisce un cinema di attese, dove l’epifania dell’incontro con il diverso è solo l’inizio e mai la conclusione di un percorso irresistibile e spaventoso al tempo stesso. Tutto merito, pardon, colpa del cinema.

Simone Soranna

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