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Matteo Garrone: i titoli disponibili in streaming

Corpi deformi, protagonisti ossessionati e territori degradati. Metamorfosi fisiche, uomini e animali, vittime e carnefici. Siamo nell’universo di Matteo Garrone, autore chiave del contemporaneo dotato di uno sguardo registico visionario e unico nel restituire all’imperfezione, alla stortura e alla bruttezza dei suoi personaggi e del loro mondo di riferimento – spesso ispirati alla cronaca reale – una dignità estetica. Immergiamoci nei suoi luoghi grotteschi e tra le sue creature inconsuete disponibili in streaming.

 

L’imbalsamatore (Netflix)

Peppino e Valerio appaiono per la prima volta insieme attraverso lo sguardo (deformato dal fisheye) di un marabù ingabbiato: la distorsione prospettica dell’immagine dei protagonisti maschili anticipa – grazie alla soggettiva dell’animale che vede la coppia in gabbia – la natura squilibrata del legame morboso che si creerà tra i due. Peppino Profeta, interpretato dallo sproporzionato Ernesto Mahieux (non vi ricorda il sorrentiniano amico di famiglia?) imbalsama corpi animali (ma anche umani) e, attratto dalla bellezza adonica del giovane Valerio, lo coinvolge nella propria attività lavorativa. L’oggetto del suo desiderio è però presto conteso da Deborah, di cui il ragazzo si innamora: tra la periferia campana e quella lombarda, si tessono macabre e disperate forme di gelosia che sfociano in un tragico finale.

 

Primo amore (Netflix)

La sottrazione come metodo e la purezza come fine: è questa l’ossessione di Vittorio, che in una sovrapposizione perversamente speculare tra la pratica artigianale della sua professione di orafo e la pratica asentimentale e anaffettiva del suo rapporto, modella all’insegna della levigazione erosiva il corpo di Sonia. Manipolando la sua mente e scarnificando le sue forme, nientifica la donna per attingere a un irraggiungibile ideale di perfezione. Tutto, nel film, sembra assecondare e rispecchiare il desiderio di astrazione del protagonista: una messa in scena asciutta, la quasi assenza di dialoghi nella coppia (lui, che ha un marcato accento vicentino, si esprime con monosillabi e si mangia le parole), l’asetticità di un rapporto sbilanciato, la scelta di angolazioni non frontali, sino a un piano sequenza finale in cui il corpo di lui coabita in modo stridente con la sopravvivenza persistente della sua voce.

 

Gomorra (Netflix)

La macchina da presa attaccata ai personaggi, le ambientazioni deteriorate, la penetrazione scopica nell’organizzazione criminale, la violenza efferata. La predilezione per attori non professionisti, il racconto di quattro storie appartenenti alle trame reticolate della camorra, uno sguardo socio-antropologico sul reale che si ispira al romanzo omonimo di Roberto Saviano. Garrone adotta uno stile registico che ibrida più generi (il gangster movie, il neorealismo, il melodramma) e con una forte componente metacinematografica (si pensi alla storia di Marco e Ciro, che interpretano i propri ruoli all’interno del sistema camorristico ispirandosi ai protagonisti dell’immaginario gangster hollywoodiano), confezionando un prodotto visivo unico all’interno del cinema internazionale contemporaneo.

 

Il racconto dei racconti (Rai Play)

La cerva fatata, La pulce e La vecchia scorticata, fiabe del Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, istituiscono il trittico narrativo attorno a cui la regia allestisce una messa in scena magica: attraversando regioni differenti e mostrando le vicende di tre regni i cui sovrani pensano di poter dominare, grazie al proprio potere, anche le esistenze di chi amano (o pensano di amare), Garrone inquadra i desideri dei suoi personaggi muovendosi tra una molteplicità di temi umani (l’inganno, la metamorfosi, il doppio, la libertà, la percezione di sé, la morte) che l’impianto fantastico del racconto trasfigura in immagini di dirompente bellezza pittorica.

 

Dogman (Netflix)

Un cane legato che latra mostrando i denti, un uomo minuto che lo calma con il vezzeggiativo amore. Sono queste le inquadrature che aprono il film: se la presenza animale imprigionata anticipa la violenza ferina pronta a scatenarsi in un microcosmo provinciale sinistro e plumbeo, quella umana qualifica la natura mite del protagonista che, di mestiere, fa il “canaro”. Nelle ultime inquadrature, ripreso dapprima in un piano sequenza ravvicinato e poi in un campo lungo che lo isola nello spazio, lo stesso uomo appoggia a terra un cadavere e si guarda attorno con un’espressione desolata. Il suo volto è tumefatto, il respiro è ansimante: in mezzo, in una storia fatta di sopraffazione, umiliazione e vendetta, c’è stata la sua trasformazione fisica, caratteriale ed emotiva.


Sara Colombini

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