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Ricordando Michel Piccoli

Dillinger è morto...questa volta realmente. Ci ha lasciati all’età di 94 anni il grande attore francese Michel Piccoli. Interprete tra i più vari ed eclettici del secondo 900, è stato una colonna portante del cinema d’autore, spesso coraggioso nelle scelte mai scontate, lontano dai compromessi e non avido di fama. Ha interpretato più di 200 ruoli sul grande schermo, scoperto da Luis Buñuel, affermatosi con Jean-Luc Godard e  Marco Ferreri e poi approdato al cinema internazionale con Alfred Hitchcock. Dallo sguardo malinconico ma potenzialmente mefistofelico, ha spesso rappresentato il borghese in crisi della società dei consumi, l’uomo che si trova intrappolato in questo vortice di materialismo pur non sposandone tutti i principi ma lasciandosi trasportare dal suo flusso inarrestabile fino a giungere a una follia primordiale.

Inarrestabile nella sua lunghissima carriera, ha lavorato molto nella natìa Francia ma anche in Italia, che ha dato i natali ai suoi antenati, dove ha collaborato per ben 6 volte con Marco Ferreri, ma anche con Ettore Scola, Marco Bellocchio, Liliana Cavani, Nanni Moretti e Mario Bava tra gli altri. Approdò al cinema alla metà degli anni Quaranta, non abbandonandolo più: la sua voglia di sperimentazione non si è mai spenta. Chiude la sua carriera con un piccolo ruolo in Holy Motors (2012), tra i capolavori dello scorso decennio.

Oggi lo ricordiamo attraverso 5 interpretazioni fondamentali che, tra le tante, hanno segnato la storia del cinema.


Il disprezzo
(1963)



Piccoli è il protagonista di uno dei film più lineari di Jean-Luc Godard, ma sicuramente tra i più iconici e profondi. Tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia, racconta di uno sceneggiatore in crisi con la compagna che trasferitosi in Italia deve scrivere un film sull’Odissea diretto da Fritz Lang. Tutta la storia è giocata sui dialoghi e il rapporto conflittuale della coppia che li porta al reciproco disprezzo, ma c’è di più: un’insofferenza ad accettare le regole commerciali e i compromessi della vita che confondono il protagonista. Visivamente è un’opera ineccepibile, luminosa e quasi astratta. Piccoli è un uomo smarrito nel paesaggio rarefatto di Capri, magnifico nel suo primo ruolo memorabile.

Bella di giorno (1967)



Con il maestro spagnolo Luis Buñuel, che lo scoprì scritturandolo in La selva dei dannati (1956), Piccoli ha lavorato in ben 6 lungometraggi, quasi sempre interpretando ruoli di contorno. In Bella di giorno incarna forse il personaggio più interessante della sequela di parti surrealiste. Un sulfureo corruttore delle carni che per primo instrada la casta protagonista alla via della lussuria. Un personaggio negativo ma propiziatorio, un antagonista se vogliamo, uno dei tanti che l’attore interpreterà. Ritornerà in un altro memorabile ruolo da villain in Topaz di Alfred Hitchcock dove in pochi minuti di film convince pienamente nei panni di un meschino e potente calcolatore.

 Dillinger è morto (1969)



Il capolavoro nichilista e anticonsumista di Marco Ferreri è il suo film più ideologicamente estremo ma anche quello più riuscito. La storia è tutta retta sulle spalle di un unico protagonista, Glauco, un ingegnere di maschere antigas che Piccoli porta sullo schermo con grande fascino. L’uomo tornato a casa dopo una giornata di lavoro trascorre una noiosa notte d’estate cercando di impiegare il suo tempo con le azioni più futili. Salta da un canale all’altro della tv, gioca con un serpente di legno, proietta dei filmini familiari su una parete finché non trova avvolta tra i giornali una vecchia e arrugginita pistola. La smonta, la olia, la dipinge di rosso tempestandola di pois bianchi, vi carica sei proiettili e infine entra in camera dalla moglie e le spara in testa nel sonno. Piccoli è il borghese annoiato, l’uomo in crisi che ha perso ogni valore morale e sociale e che in un impeto di follia distrugge simbolicamente la famiglia e scappa verso lidi fiabeschi. Uno dei personaggi più iconoclasti del Novecento.

L’amante (1970)



In questo dramma che ha consacrato il cinema di Claude Sautet, Piccoli è un architetto al centro di un triangolo amoroso. Un argomento tanto abusato qui, però, viene trattato con immensa originalità, tanto da risultare moderno ancora oggi. La psicologia dei personaggi in poco meno di 90 minuti viene profondamente tratteggiata e arricchita da molte sfumature. La casualità della vita, l’ineluttabilità del destino, il potere incontrastabile del tempo. Tutte queste sono le “cose della vita” del titolo francese originale (Les choses de la vie), nelle quali ancora una volta il protagonista Piccoli si trova incastrato senza via di fuga, come nei rottami della macchina che si vedono nella prima scena.

Habemus Papam (2011)



L’ultimo grande ruolo da protagonista per Piccoli, uno tra i più intensi della sua carriera. In questo film di Nanni Moretti veste i panni di una Papa che appena eletto sprofonda in una crisi depressiva. Ci addentreremo nella sua psiche grazie alle sedute che il pontefice svolgerà con un terapista interpretato dallo stesso Moretti. Una vera e propria analisi psicologica di una crisi fiducia nelle proprie qualità. Un Papa fragile e poetico, mai così umano e sincero che regala nel discorso finale momenti di grande intensità ed emozione. Michel Piccoli sigilla così la sua carriera con quello che può essere interpretato come il suo testamento, un personaggio di grande fascino e carisma ma anche incapace di combattere le incombenze insormontabili della vita e che agisce di conseguenza rifiutandola, rappresentante di quasi tutti i suoi grandi ruoli.

 Au revoir, Michel!

Cesare Bisantis

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