News
I migliori film di Pier Paolo Pasolini: la nostra Top 10

«Io amo il cinema perché con il cinema resto sempre al livello della realtà. È una specie di ideologia personale, di vitalismo, di amore del vivere dentro le cose, nella vita, nella realtà.»


Il 5 marzo 1922 nasceva Pier Paolo Pasolini. Regista, poeta, scrittore, intellettuale a tutto tondo ritrovato il 2 novembre 1975 all'Idroscalo di Ostia con la testa fracassata, Pasolini era un uomo solo, attaccato con violenza sul piano artistico, politico, ideologico e in perenne conflitto con un'Italia preda di una feroce e inevotabile omologazione culturale. Reo di rappresentare il rifiuto per eccellenza all'ortodossia generale (la cosiddetta "cultura di massa") e ai patti con le istituzioni, Pasolini rappresentò (e continua a rappresentare) il baluardo della diversità, della fuga rispetto a qualsiasi etichetta, e l'impegno a una costante analisi sociale che lo rese, e lo rende, scomodo. Pasolini ieri, oggi, domani: un doveroso omaggio a un autore imprescindibile con la classifica dei suoi 10 migliori film.

Ecco le nostre scelte, dal decimo al primo posto:




Teorema (1968)




Inizialmente concepito come un romanzo in versi e solo successivamente diventato un film, Teorema è senza dubbio uno dei più complessi, enigmatici e visionari film di Pier Paolo Pasolini. Attraverso una struttura geometrica e fortemente simbolica, il cineasta friulano cstruisce una magnetica, ancorché ostica, satira dell'ipocrisia su cui si regge(va) il costume borghese. Ma se a un primo sguardo potrebbe sembrare il sesso (eterosessuale, incestuoso e omosessuale) a farlo esplodere, a una lettura più profonda è impossibile non cogliere i profondi riflessi cristologici e sacri che illuminano il misterioso personaggio interpretato da Terrence Stamp. La Chiesa lo rifiutò in blocco, riuscendo a farlo sequestrare per oscenità.




Comizi d'amore (1964)




Girato durante le ricerche per il cast de Il Vangelo secondo Matteo (1964), Comizi d'amore è un documentario-inchiesta che, passando in rassegna le anime dell'Italia del tempo (borghesi, proletari urbani, sotto-proletari del Sud, piccolo-borghesi del nord, sportivi e intellettuali), mette in luce tutte le contraddizioni, le sovrastrutture conformistiche e i pregiudizi che caratterizzavano gli italiani, in termini di gusti e opinioni sessuali, negli anni del miracolo economico. Una significativa finestra sull'umanità degli anni '60, girata con sensibilità e lucidità estreme.




Il Decameron (1971)




Dopo una lunga carriera corredata di scandali e urti frontali con la censura italiana, Pier Paolo Pasolini lancia il suo ultimo guanto di sfida alla morale borghese: attraverso tre film che andranno a comporre la cosiddetta “Trilogia della vita” (a questo primo capitolo seguiranno I racconti di Canterbury del 1972 e Il fiore delle mille e una notte del 1974), intende attaccare l'italica fobia del sesso, a suo parere alla base dell'ipocrita puritanesimo che stritola la cultura del suo paese natale. Grandissimo successo di pubblico (4 miliardi di lire di incasso) e consueto fiume di polemiche. Più tiepida l'accoglienza della critica, nonostante l'Orso d'argento al Festival di Berlino.




Edipo re (1967)




Progetto in cantiere sin dai tempi di Accattone (1961), l'Edipo re di Pier Paolo Pasolini è, probabilmente, il miglior film dedicato alla celeberrima tragedia di Sofocle. Il regista friulano rispetta fedelmente il testo delle opere Edipo re ed Edipo a Colono, riuscendo come nessuno prima di lui a trasmettere tutto il fascino psicanalitico, inquietante e moderno della storia di tutte le famiglie, con il figlio destinato a prendere il posto del padre e, quindi, a distruggerlo. Un film che riesce nell'ambizioso intento di spostare il concetto dell'innocente colpevolezza di Edipo sulla borghesia occidentale degli anni '60, inconsapevole della natura criminale della propria condizione agiata.




Uccellacci e uccellini (1966)




Celebre “poesia cinematografica” dedicata alla crisi culturale della sinistra comunista negli anni '60, girata da Pier Paolo Pasolini all'apice della sua libertà creativa, prima delle controverse opere dell'ultimo periodo. Attraverso un uso smodato, benché a tratti di complessa decifrazione, della metafora e del simbolismo, Pasolini dà vita a una non-commedia con un piede nell'avanguardia (le accelerazioni delle immagini usate non in chiave slapstick), dove viene passata in rassegna l'incapacità della sinistra post-togliattiana di leggere la realtà e cogliere le contraddizioni della società “moderna” (per Pasolini, non necessariamente migliore, anzi) che si stava affermando in Italia. Presentato in concorso al Festival di Cannes, dove Totò ricevette una menzione speciale per l'interpretazione. Clamoroso insuccesso commerciale.




Accattone (1961)




«Er mondo è de chi c'ha li denti.» L'esordio (modernissimo) di Pier Paolo Pasolini dietro la macchina da presa è un tentativo (riuscito) di raccontare sul grande schermo quei “ragazzi di vita” che davano il titolo a uno dei suoi romanzi più famosi. Calcolatamente tragico nell'andamento narrativo ed emotivamente coinvolgente per lo stile utilizzato, Accattone è il duro ritratto di una certa parte di sottoproletariato romano costretta a vivere alla giornata e con pochi mezzi a disposizione. Proiettato fuori concorso a Venezia: strascichi infiniti di violente polemiche e boicottaggio dei neofascisti, con annesse e ridicole accuse di pornografia.




Il Vangelo secondo Matteo (1964)




Da sempre interessato al sacro e alle affinità che le classi popolari dell'Italia del primo dopoguerra avevano con la figura di Cristo, Pier Paolo Pasolini si convince ad affrontare direttamente il testo del Vangelo, dando vita, con ogni probabilità, al miglior film su Gesù che sia mai stato fatto. Girato tra i suggestivi sassi di Matera e caratterizzato da un'austera grazia visiva, che rifiuta qualsiasi concessione spettacolare o violenta: Pasolini riesce nel “miracolo” di sfiorare il sacro e il senso del mistero della fede. Quanto alle polemiche del tempo sulla volontà del regista di far coincidere il verbo di Cristo con il pensiero Marxista, facendone così un rivoluzionario ante-litteram, Il Vangelo secondo Matteo risulta in realtà più cattolico che comunista, nel suo interesse a studiare la forza del messaggio originario di Cristo ben più che a gettare un ponte tra le “due chiese” (quella cristiano-cattolica e quella laica del PCI) dell'Italia degli anni '50 e '60.




La ricotta (episodio di Ro.Go.Pa.G., 1963)



Film a episodi in cui i quattro registi (Rossellini, Godard, Pasolini, Gregoretti), attraverso il loro diverso sguardo sulla realtà, sviscerano le contraddizioni dei turbolenti primi anni '60, tra boom economico e veloci mutamenti culturali, Ro.Go.Pa.G. si rivela tutto sommato didascalico e moralistico. A brillare incontrastato è il segmento diretto da pier paolo Pasolini, summa della poetica autoriale condensata in poco più di 30 minuti: il povero Stracci, che muore di indigestione sulla croce dopo aver divorato una ricotta ottenuta vendendo il cagnolino di una star del cinema, serve al regista per trasformare il sottoproletariato nell'unica classe sociale erede del pensiero cristiano e fare del protagonista un moderno Gesù Cristo che, nell'indifferenza di tutti, si sacrifica per l'umanità. Ad aggiungere fascino e, non ultima, anche una certa ambigua complessità intellettuale all'opera, è il fatto che il sacrificio di Stracci avvenga su due piani: su quello del film e su quello del film nel film, dando vita ad un vertiginosa mise en abyme cinematografica.




Mamma Roma (1962)




Dopo il folgorante lungometraggio d'esordio Accattone (1961), Pier Paolo Pasolini, già scrittore controverso e di grande successo, torna dietro la macchina da presa rimanendo in piena continuità stilistica e contenutistica con il precedente film e con la sua produzione letteraria. Al centro delle sue indagini narrative c'è nuovamente il sottoproletariato delle borgate romane, descritto come l'unica classe sociale ove è ancora possibile scorgere un barlume di umana vitalità, nonostante ogni sua aspirazione a un avanzamento sociale sia destinata alla tragedia. Così Mamma Roma e suo figlio Ettore, le cui vicende si incrociano e si influenzano reciprocamente, compiono lo stesso percorso di Vittorio Cataldi detto “Accattone”, tra grande desiderio di vita e sacrale predestinazione a una sconfitta dal sapore di sacrificio.




Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975)




«I capricci, per barocchi che essi siano, li trovo tutti rispettabili. Sia perché non ne siamo arbitri, sia perché anche il più singolare e il più bizzarro, a ben analizzarlo, risale sempre a un principe de délicatesse... e sì, vecchi rottinculo: esprit de délicatesse!» Dopo la cosiddetta “Trilogia della vita”, Pier Paolo Pasolini intendeva girare una “Trilogia della morte” che ne facesse da contraltare: ne dovevano fare parte il Salò che poi ha visto la luce, il vociferato Porno-Theo Kolossal e un terzo capitolo rimasto senza nome. Così, se nei tre film precedenti veniva celebrata la vita attraverso l'esaltazione del sesso, descritto come atto libero, spontaneo e soprattutto anti-classista, in Salò o le 120 giornate di Sodoma, prendendo spunto dall'opera del Marchese De Sade, il sesso viene invece usato come strumento di tortura e quindi, per estensione, come canale attraverso cui ribadire la supremazia di una classe su un'altra. Il regista unisce Freud e Marx, fondendo la sopraffazione politica con quella sessuale e mostrando, secondo le sue parole, “la mercificazione dei corpi da parte del Potere”. Opera cinematografica tra le più estreme mai concepite e vetta intellettuale dell'intera carriera cinematografica di Pasolini.

Maximal Interjector
Browser non supportato.