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Martin Scorsese sulla sua carriera, sul suo rapporto con gli Studios e sulla sua mortalità

In attesa dei Golden Globes che apriranno il mese finale della "stagione dei premi" (la cui conclusione sarà segnata dalla cerimonia degli Academy Awards il 9 febbraio), diversi giornali stanno dedicando interviste approfondite ai vari candidati. Proprio per questa ragione, il prestigioso New York Times ha pubblicato una lunga intervista con Martin Scorsese, nominato nella categoria Miglior Regia per The Irishman, la sua epopea sul mondo del crimine prodotta e distribuita da Netflix, che ha coperto interamente il budget di circa 160 milioni di dollari.

Una delle ragioni dietro la scelta della piattaforma streaming è stata la totale libertà garantita a Scorsese, diversamente dalle esperienze avute dal regista con gli studios di Hollywood nel passato. I rapporti di Scorsese con le major, infatti, erano andati deteriorandosi sempre di più, fino ad arrivare a un punto di non ritorno con The Aviator: capitava spesso che gli uomini ai vertici degli studios facessero pressioni al regista per diminuire il minutaggio dei suoi film ma, durante le ultime due settimane di montaggio e mixaggio del biopic su Hughes, prodotto da Warner Bros. e da Miramax, Scorsese si è sentito talmente costretto a prendere decisioni che non gli appartenevano da considerare di smettere di fare film.
Il regista descrive quel periodo con queste parole: "È come trovarsi in un bunker e fare fuoco in ogni direzione. Arriva un punto in cui ti rendi conto che non parli più nemmeno la stessa lingua, non ti comprendi, e capisci di non poter più fare film".

Scorsese, da quel momento in poi, ha cominiciato a rivolgersi a finanziatori indipendenti per mantenere il controllo totale sui suoi film, come è successo anche per The Irishman. La lontananza dagli studios, però, sembra essersi conclusa, poiché il prossimo progetto del regista, Killers of the Flower Moon, con protagonista Leonardo DiCaprio, sarà prodotto da Paramount.

La lunga intervista spazia poi su altri temi, dai film preferiti di Scorsese di questo 2019 (ne ha ancora molti da recuperare ma ha apprezzato Parasite) al fatto che Joker si sia ispirato ai suoi lavori (ancora non l'ha visto, tranne alcune clip, e l'interesse non sembra alto), fino ad arrivare alla scottante tematica delle donne nei suoi film. Recentemente, alcuni critici hanno affermato che i ruoli femminili nei lavori di Scorsese siano sotto-sviluppati, al servizio degli uomini nelle storie e hanno preso come esempio principale il personaggio di Anna Paquin in The Irishman, a cui non spettano che poche battute.
Il regista, però, ha fatto notare come il silenzioso rifiuto di Peggy verso su padre Frank (Robert De Niro) sia più devastante di qualsiasi litigata a cuore aperto: "Non badate solo alla superficie. Secondo le regole della superficialità dovremmo avere due o tre importanti scene fra lei e il padre in cui lei dice ciò che pensa. Ma in realtà non ne ha bisogno. Lei sa cosa ha fatto il padre. Sa di cosa è capace".

Va, inoltre, sottolineato come The Irishman non rappresenti l'intera produzione di Scorsese che, negli anni, ha regalato grandi personaggi femminili, come la Ellen Burstyn di Alice non abita più qui o la Sharon Stone di Casinò.

Il filo rosso dell'intera intervista, però, rimane la mortalità, il senso del tempo che passa e della fine che si avvicina. Ragionamenti che Scorsese ha trasportato in ogni fotogramma di The Irishman, canto funebre di un genere di cui lo stesso regista è stato uno dei maggiori esponenti.

 

Se siete interessati a leggere l'intero profilo di Scorsese, la fonte è il New York Times

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