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"Black Mirror": poca tecnologia e tanti generi in una stagione di alti e bassi

Attesissima, la 4° stagione di Black Mirror è stata lanciata da Netflix il 29 dicembre, giusto in tempo per salutare il 2017 con un ultimo regalo ai fan che aspettavano da tempo di poterla vedere. Tuttavia, dopo aver visto i 6 episodi, è possibile parlare di una serie atipica, con una qualità generale sempre buona – tra alti e bassi – ma che di certo non è possibile definire memorabile, come invece capitato per le prime 2, mentre il paradosso è che la terza mostrava già alcuni sintomi di poca freschezza, salvo poi regalare San Junipero, il miglior episodio mai realizzato. Se per la precedente l’accoglienza era stata data da Bryce Dallas Howard, in questo caso si parte con Uss Callister, episodio spiazzante che all’apparenza sembrava essere un’ironica parodia di Star Trek e che invece ha utilizzato l’espediente fantascientifico per raccontare una storia di frustrazione, rabbia repressa e relativa fuga in una realtà virtuale in cui poter sfogare i propri istinti e desideri. Il viaggio è proseguito con Arkangel, in cui Jodie Foster ha affrontato la tematica dell’essere madre single, con la tecnologia vista come strumento che possa permettere un disimpegno nel ruolo e che si rivela poi essere una droga, una dipendenza che porta inevitabilmente alla distruzione propria e del prossimo. A spiazzare ulteriormente ci pensa Crocodile, un thriller nel senso classico del termine, in cui la tecnologia è semplicemente uno strumento funzionale alla trama e non il fulcro della stessa: convincente dal punto di vista narrativo ed estetico, pecca in quanto non conforme alle atmosfere che hanno da sempre caratterizzato Black Mirror, ed è questo l’unico difetto di un episodio comunque godibile e che lancia ugualmente qualche spunto di riflessione interessante. Anche in questa stagione è il 4° l’episodio memorabile: Hang the Dj porta lo spettatore a confrontarsi con il proprio piano emozionale, con i sentimenti e con un futuro in cui i rapporti affettivi non siano creati in base alla felicità e ai sacrifici relativi per farli funzionare, ma secondo un algoritmo che riesce a calcolare le probabilità di riuscita di una relazione. Un episodio riuscito sotto ogni punto di vista, che si parli di estetica o di narrazione, ma anche a livello di coinvolgimento dello spettatore, chiamato a guardarsi dentro, dove giacciono le emozioni, mettendole a nudo. Metalhead, invece, è l’episodio più deludente della stagione, nonostante con l’intrigante bianco e nero e il suo incipit post apocalittico avesse dato l’impressione di poter essere quasi rivoluzionario, salvo poi perdersi in una regia capace di guidare lo spettatore sul filo della tensione, ma in maniera approssimativa e cercando inutili preziosismi. Per fortuna ci pensa Black Museum a fare da congedo alla serie, un episodio decisamente convincente che, tra autoreferenzialità (nel museo ci sono cimeli appartenenti agli episodi precedenti) e un cambiamento del format (più storie in una, ma più brevi) riesce a immergere nuovamente lo spettatore nel clima di inquietudine generale che ha fatto la fortuna dell’intera produzione, dalla prima stagione in poi. Da evidenziare come la figura femminile abbia un ruolo di rilievo, in quanto protagonista (o partner) in tutti gli episodi, come del resto si può trovare nella fuga – letterale o metaforica – uno dei temi conduttori di una stagione che, purtroppo, non ha convinto pienamente.


Di seguito, una classifica degli episodi dell’ultima stagione:


1) Hang the Dj


2) Black Museum


3) Arkangel


4) Uss Callister


5) Crocodile


6) Metalhead


 


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