Un altro me
Durata
83
Formato
Regista
All'interno del carcere di Bollate, alcuni detenuti colpevoli di reati sessuali seguono un percorso formativo mirato a riflettere su quanto commesso e a fare i conti con se stessi.
Entrando in punta di piedi all’interno di un ambiente problematico, Claudio Casazza firma un documentario tematicamente interessante e controverso, rendendo invisibile la sua presenza per catturare pensieri e parole dei detenuti del carcere di Bollate. Il film si snoda in diverse sequenze mirate a descrivere il percorso di riabilitazione che i condannati per violenze sessuali vivono quotidianamente all’interno della struttura penitenziaria. Se la corrente descrittiva risulta efficace (seppur a tratti piuttosto ridondante e ripetitiva), è la parentesi tematica a mostrare diverse carenze. Il documentario, a cominciare dall’esplicito titolo, vorrebbe raccontare la doppia personalità presente in ognuno di noi, con la quale prima o poi dobbiamo scontrarci e confrontarci; Un altro me preferisce però non addentrarsi più del dovuto nel cuore della questione, rimanendo spesso distante dai soggetti e dimostrandosi non sempre capace di toccare le corde necessarie a far vibrare in maniera significativa gli occhi e l'animo dello spettatore. La scelta di riprendere i detenuti costantemente fuori fuoco, quasi a voler sottolineare una sorta di mancato riconoscimento, è funzionale, ma è altrettanto forte la sensazione che il tutto, alla lunga, tenda a ripetersi senza proporre alcuna variazione realmente significativa.
Entrando in punta di piedi all’interno di un ambiente problematico, Claudio Casazza firma un documentario tematicamente interessante e controverso, rendendo invisibile la sua presenza per catturare pensieri e parole dei detenuti del carcere di Bollate. Il film si snoda in diverse sequenze mirate a descrivere il percorso di riabilitazione che i condannati per violenze sessuali vivono quotidianamente all’interno della struttura penitenziaria. Se la corrente descrittiva risulta efficace (seppur a tratti piuttosto ridondante e ripetitiva), è la parentesi tematica a mostrare diverse carenze. Il documentario, a cominciare dall’esplicito titolo, vorrebbe raccontare la doppia personalità presente in ognuno di noi, con la quale prima o poi dobbiamo scontrarci e confrontarci; Un altro me preferisce però non addentrarsi più del dovuto nel cuore della questione, rimanendo spesso distante dai soggetti e dimostrandosi non sempre capace di toccare le corde necessarie a far vibrare in maniera significativa gli occhi e l'animo dello spettatore. La scelta di riprendere i detenuti costantemente fuori fuoco, quasi a voler sottolineare una sorta di mancato riconoscimento, è funzionale, ma è altrettanto forte la sensazione che il tutto, alla lunga, tenda a ripetersi senza proporre alcuna variazione realmente significativa.