La misera quotidianità di Anna, sedicenne incinta, tossicodipendente e vagabonda in Piazza Navona a Roma. Accolta dal regista Massimo Sarchielli, diventa oggetto di studio per la preparazione di un film, ma le cose non vanno secondo copione.



Caso unico nel panorama cinematografico italiano, mirabile e irripetibile sperimentazione sui limiti dell'atto filmico, Anna rappresenta un utopico (quanto fallimentare) tentativo di ricostruzione della realtà. Spinti dal desiderio di manipolare la desolazione dell'essere umano, Massimo Sarchielli e Alberto Grifi pongono al centro della loro osservazione la fragile Anna (che «vuole amore e non pietà»), elevandola a simbolo delle contraddizioni di un Paese sull'orlo del collasso: emarginazione, oppressione complottistica tipica degli anni di piombo («Il nemico ci osserva alle spalle»), tensioni politiche (le manifestazioni contro un Potere ormai logoro), evoluzioni sociologiche (lo sfruttamento sul lavoro, incarnato dall'elettricista Vincenzo, ex operaio alla Pirelli), ipocrisie borghesi (la becera volgarità dell'avvocato che, parlando della drammatica situazione di Anna, erompe in un «voi le date l'uccello e io le devo dare l'aiuto?»). Ma a emergere prepotente, ancor più delle meschinerie nazionali, è l'aperta incoerenza tra vita vera e vita recitata, veicolata da una “protagonista” apatica e impermeabile che mina alla base il meccanismo del cinema tradizionalmente inteso, mostrando la fondamentale inconcludenza della tanto celebrata velleità registica. Le tensioni emozionali esplodono, la spontaneità negata torna alla luce: emblematica la sequenza della doccia di Anna, in cui Sarchielli finge di temere un'invasione di pidocchi che compaiono davvero, scatenando un'irritazione tangibile e tutt'altro che simulata. Opera coraggiosa nello scagliarsi contro i meccanismi produttivi che limitano la creatività artistica, ambigua (e forse in parte responsabile) nel denunciare la presunta mercificazione del dolore: in ogni caso, un'esperienza di enorme impatto emozionale, esempio calzante del limite sempre più labile che separa la verità dalla finzione. Il girato totale dura circa undici ore, ridotte poi a 225 minuti e trasferite su pellicola in 16 mm con un vidigrafo ideato da Grifi. La versione integrale è stata presentata al 31º Torino Film Festival.
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