Backstreet Boys: Show 'Em What You're Made Of
Backstreet Boys: Show 'Em What You're Made Of
Durata
119
Formato
Regista
La genesi dei Backstreet Boys, gruppo musicale che ha segnato l'immaginario giovanile tra la fine degli anni Novanta e l'inizio del XXI secolo: gli inizi, il successo, le prime difficoltà, l'abbandono di Kevin Richardson e il ritorno sulle scene con nostalgico tour mondiale.
Stephen Kijak celebra l'antesignana tra le boy band, quei Backstreet Boys che hanno fatto sognare ed esultare milioni di adolescenti in tutto il mondo. Omaggio dichiarato nei confronti di un'epoca superficialmente pop, il documentario procede su due livelli: le storie individuali di ciascun componente (dai problemi di disfonia di Brian Littrell all'iter di degenerazione di A.J. McLean, precipitato nell'inferno della droga) si alternano al percorso di “rieducazione artistica”, con snervanti allenamenti mirati alla preparazione per un nuovo inizio sul palcoscenico. Il risultato delude: eccessi di retorica gratuita (le tragedie familiari, i ricordi d'infanzia), fastidiose metafore didascaliche (la scalata della montagna, che dovrebbe simbolizzare la rinascita del gruppo) e poca musica (le canzoni sono ridotte al minimo sindacale), con annesso prevedibile live finale, che comprende l'esecuzione della hit che dà il titolo al film. Qualche momento di verità, comunque, colpisce nel segno: doloroso lo scontro tra Littrell e Nick Carter sulla riassegnazione del ruolo di solista. Inutilmente prolisso e scarsamente coinvolgente, ma le fan gradiranno.
Stephen Kijak celebra l'antesignana tra le boy band, quei Backstreet Boys che hanno fatto sognare ed esultare milioni di adolescenti in tutto il mondo. Omaggio dichiarato nei confronti di un'epoca superficialmente pop, il documentario procede su due livelli: le storie individuali di ciascun componente (dai problemi di disfonia di Brian Littrell all'iter di degenerazione di A.J. McLean, precipitato nell'inferno della droga) si alternano al percorso di “rieducazione artistica”, con snervanti allenamenti mirati alla preparazione per un nuovo inizio sul palcoscenico. Il risultato delude: eccessi di retorica gratuita (le tragedie familiari, i ricordi d'infanzia), fastidiose metafore didascaliche (la scalata della montagna, che dovrebbe simbolizzare la rinascita del gruppo) e poca musica (le canzoni sono ridotte al minimo sindacale), con annesso prevedibile live finale, che comprende l'esecuzione della hit che dà il titolo al film. Qualche momento di verità, comunque, colpisce nel segno: doloroso lo scontro tra Littrell e Nick Carter sulla riassegnazione del ruolo di solista. Inutilmente prolisso e scarsamente coinvolgente, ma le fan gradiranno.