I colori dell'anima – Modigliani
Modigliani
Durata
128
Formato
Regista
Nella Parigi degli anni Dieci, un tormentato Modigliani (Andy Garcia) conduce un’esistenza dedita all’alcol, alle sostanze stupefacenti e alla pittura. In competizione con Picasso (Omid Djalili) e attorniato da altri artisti bohémien che condividono il suo stile di vita, il protagonista trova in Jeanne (Elsa Zylberstein) la sua nuova musa e, dopo la nascita della prima figlia e in attesa del secondogenito, decide di sposarla. Ma un finale tragico attende i due amanti…
Rappresentazione mal riuscita dell’ultimo anno di vita del celeberrimo pittore livornese, il film di Mick Davis propone una melodrammatica storia che vuole a tutti i costi strappare le lacrime dagli occhi degli spettatori. Tanta tragedia nei fatti mostrati non è sufficiente per compensare lo scarso spessore psicologico di tutti i personaggi, ridotti a piatte ombre di se stessi, e l’impianto narrativo farraginoso, con avanti e indietro non necessari, che aggiunge solo confusione a una trama sbrigativa e accompagnata da brani inutilmente anacronistici. Praticamente nullo l’interesse rivolto all’interiorità del protagonista, alla sua arte, al suo valore catartico o al ruolo dell’artista maledetto in piena temperie avanguardistica. Non ultimo, le numerose inesattezze storiche tolgono l’ultima parvenza di credibilità anche alla sommaria ricostruzione della Parigi del 1919: per esempio, i quadri nella mostra finale sono tutti inventati, tranne quello di Soutine (Pièce de beuf), che però è del 1923.
Rappresentazione mal riuscita dell’ultimo anno di vita del celeberrimo pittore livornese, il film di Mick Davis propone una melodrammatica storia che vuole a tutti i costi strappare le lacrime dagli occhi degli spettatori. Tanta tragedia nei fatti mostrati non è sufficiente per compensare lo scarso spessore psicologico di tutti i personaggi, ridotti a piatte ombre di se stessi, e l’impianto narrativo farraginoso, con avanti e indietro non necessari, che aggiunge solo confusione a una trama sbrigativa e accompagnata da brani inutilmente anacronistici. Praticamente nullo l’interesse rivolto all’interiorità del protagonista, alla sua arte, al suo valore catartico o al ruolo dell’artista maledetto in piena temperie avanguardistica. Non ultimo, le numerose inesattezze storiche tolgono l’ultima parvenza di credibilità anche alla sommaria ricostruzione della Parigi del 1919: per esempio, i quadri nella mostra finale sono tutti inventati, tranne quello di Soutine (Pièce de beuf), che però è del 1923.