Dearest Sister
Nong Hak
Durata
104
Formato
Regista
Nok (Amphaiphun Phommapunya), una giovane ragazza, si trasferisce dal suo villaggio natale a Vientiane per accudire una cugina che non ha mai incontrato prima, Ana (Vilouna Phetmany). Sposata a uno straniero, Ana sta perdendo la vista e ha bisogno di costante aiuto. Ma Nok si accorge molto presto che qualcosa di più inquietante sta prendendo vita: se infatti Ana sta perdendo la capacità di vedere il mondo che la circonda, in compenso ha acquisito la terrificante abilità di vedere i morti.
Primo film del Laos a essere presentato al Far East Film Festival di Udine, Dearest Sister è una bizzarra co-produzione tra Laos, Estonia e Francia. Dopo Chantaly, la regista Mattie Do torna alle atmosfere del thriller in questo suo secondo lungometraggio virato verso il soprannaturale e le storie di fantasmi. L’autrice però non si limita a dare vita a una storia inquietante, ma anche a riflettere sulla situazione socioculturale del suo paese natale, toccando il tema del denaro e della differenza di classe, in particolare. Ma si parla anche della “donna” e dell’idea di come ci si possa affrancare dalla povertà locale tramite la presenza di un “marito bianco”, simile a un trofeo in grado di migliorare le condizioni di vita. Spunti più drammatici che orrorifici, a volte incisivi ma in altri casi incapaci di colpire come dovrebbero. Eppure, in mezzo a una narrazione ridondante e che sa spesso di già visto, c’è anche il tempo per godersi qualche sequenza efficace (Nok truccata e vestita per cercare di conquistare i turisti), per una riflessione sul rapporto tra realtà e campagna e per qualche interessante gioco di luce ben giostrato dalla regista. Il finale non è un granché, per usare un eufemismo, ma qualcosa da ricordare rimane al termine della visione.
Primo film del Laos a essere presentato al Far East Film Festival di Udine, Dearest Sister è una bizzarra co-produzione tra Laos, Estonia e Francia. Dopo Chantaly, la regista Mattie Do torna alle atmosfere del thriller in questo suo secondo lungometraggio virato verso il soprannaturale e le storie di fantasmi. L’autrice però non si limita a dare vita a una storia inquietante, ma anche a riflettere sulla situazione socioculturale del suo paese natale, toccando il tema del denaro e della differenza di classe, in particolare. Ma si parla anche della “donna” e dell’idea di come ci si possa affrancare dalla povertà locale tramite la presenza di un “marito bianco”, simile a un trofeo in grado di migliorare le condizioni di vita. Spunti più drammatici che orrorifici, a volte incisivi ma in altri casi incapaci di colpire come dovrebbero. Eppure, in mezzo a una narrazione ridondante e che sa spesso di già visto, c’è anche il tempo per godersi qualche sequenza efficace (Nok truccata e vestita per cercare di conquistare i turisti), per una riflessione sul rapporto tra realtà e campagna e per qualche interessante gioco di luce ben giostrato dalla regista. Il finale non è un granché, per usare un eufemismo, ma qualcosa da ricordare rimane al termine della visione.