Difret

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99

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Hirut (Tizita Hagere), quattordicenne etiope che vive in un villaggio non troppo distante da Addis Abeba, viene aggredita da un gruppo di uomini dopo essere uscita da scuola. Questi la rapiscono, ma la ragazza riesce a fuggire, finendo per uccidere il suo “futuro sposo”.

Il rapimento a scopo di matrimonio è una pratica diffusa e radicata da tempo nella cultura etiope. La regista Zeresenay Mehari, al suo esordio dietro la macchina da presa, firma così un dramma impegnato e teso a rappresentare una delle “tradizioni” più barbare e incivili della sua terra natale. Il focus della pellicola si muove anche nei territori della legislazione, quando la protagonista viene arrestata (in seguito all'omicidio) e una donna avvocato cercherà di difenderla a tutti i costi. Lo spunto è indubbiamente forte e meritevole di lode, ma il risultato finale non riesce affatto a essere all'altezza. La confezione è degna di una fiction tv di basso livello, e l'andamento narrativo è un po' fazioso. Tramite facili mezzucci retorici si tenta di ingraziarsi il pubblico a tutti i costi (e c'è riuscito, visti i diversi Audience Awards vinti a Berlino e al Sundance), ma è un coinvolgimento calcolato e mai sincero.
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