Grazie all’installazione di sofisticatissimi chip neuronali, ciascun individuo può registrare la propria esistenza attimo per attimo, dalla nascita sino alla morte. Al momento della dipartita, i file contenuti in tali impianti vengono estratti e consegnati alle cure di abili montatori incaricati di tradurli in un breve lungometraggio riassuntivo, detto rememory. Maestro di quest’arte ambigua è Alan Hakman (Robin Williams), algido editor a cui viene affidato il compito di ripulire i ricordi del recentemente scomparso Charles Bannister, alto funzionario della Zoe Tech, azienda leader nella produzione di microcircuiti mnemonici. Diviso tra le pressioni mistificatorie della famiglia del defunto e le manie rivelatrici di un gruppo di estremisti, Alan sarà risucchiato dalle ombre di un incarico che lo costringerà a fare i conti con gli spettri del proprio passato.

Pur supportato dalla fotografia di Tak Fujimoto (Il sesto senso e Il silenzio degli Innocenti) e dal montaggio di Dede Allen (Gangster Story e Reds), il regista libanese Omar Naim dirige con compostezza scolastica un thriller fantascientifico dal passo incerto, intrappolato nella bulimia di una sceneggiatura troppo impegnata a setacciare l’intero spettro del percorribile per concentrarsi davvero su una direzione. L’indubbio fascino dello spunto memoriale – qui declinato nel dilemma etico di una pratica in grado di confezionare testimonianze capaci di ridefinire il tracciato di un’intera esistenza – collassa, infatti, nella superficialità di uno sviluppo che decide di alternare a una promettente linea drammatica la farsesca messa in scena di un fanatismo grottesco, tanto nei modi quanto nei costumi. Circondate da una fastidiosa serie di metafore cinematografiche e da un finale decisamente debole, le pur luminose prove di Mira Sorvino (Delila) e di Robin Williams finiscono così per risultare quasi superflue.
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