
Nottefonda
Durata
86
Formato
Regista
Dopo la perdita della moglie in un incidente d’auto, incapace di trovare pace, Ciro (Francesco Di Leva) si muove in una Napoli silenziosa. Accanto a lui suo figlio Luigi (Mario Di Leva), che non smette di spronarlo a rinascere, sfidandolo con la forza ingenua dell’affetto. Tra notti senza sonno e parole non dette, resta un legame da ricostruire, un vuoto da colmare.
«Ma come devo fare con te, eh? Quante volte te lo devo dire che la notte devi stare a casa?»: Ciro si rivolge direttamente allo spettatore e il suo monito sembra anticipare ciò che sarà il suo peregrinare nelle rigide notti di una Napoli dicembrina. A bordo della sua auto, cercando una vendetta che possa smorzare il suo turbamento, ben suggellato dall’affastellarsi di memorie ormai lontane, all’interno di un film in cui passato e presente si miscelano di continuo, restituendo una visione d’insieme dello struggimento di un uomo che ha perso sua moglie e se stesso. La tragicità di quella vita spezzata si mischia ad altre vite, che, come quella di Flavia, si sono spente anzitempo: quella del suocero di Carmine, amico di Ciro, morto suicida dopo il licenziamento. Ciò che Giuseppe Miale di Mauro è stato in grado di evitare è il caricare di una eccessiva drammaticità la vicenda, evitando di ricercare una narrazione forzatamente strappalacrime, ma non mancano passaggi eccessivamente didascalici e alcuni cali di ritmo che limitano il coinvolgimento. La cinepresa, piantata di fronte al volto di Ciro, è pronta a catturarne ogni espressione. Francesco Di Leva riesce efficacemente a interpretare un uomo in cerca di risposte ma incapace di porsi giuste domande: affaccendato, com’è, nel ricercare quell’auto pirata o nel portare a termine qualche sporco lavoro notturno. Nottefonda evoca storie di dolore e di accettazione dello stesso, di rabbia e di rinascita. Di ricerca di una propria identità, come uomini e come genitori: l'intento è nobile, la resa altalenante.
«Ma come devo fare con te, eh? Quante volte te lo devo dire che la notte devi stare a casa?»: Ciro si rivolge direttamente allo spettatore e il suo monito sembra anticipare ciò che sarà il suo peregrinare nelle rigide notti di una Napoli dicembrina. A bordo della sua auto, cercando una vendetta che possa smorzare il suo turbamento, ben suggellato dall’affastellarsi di memorie ormai lontane, all’interno di un film in cui passato e presente si miscelano di continuo, restituendo una visione d’insieme dello struggimento di un uomo che ha perso sua moglie e se stesso. La tragicità di quella vita spezzata si mischia ad altre vite, che, come quella di Flavia, si sono spente anzitempo: quella del suocero di Carmine, amico di Ciro, morto suicida dopo il licenziamento. Ciò che Giuseppe Miale di Mauro è stato in grado di evitare è il caricare di una eccessiva drammaticità la vicenda, evitando di ricercare una narrazione forzatamente strappalacrime, ma non mancano passaggi eccessivamente didascalici e alcuni cali di ritmo che limitano il coinvolgimento. La cinepresa, piantata di fronte al volto di Ciro, è pronta a catturarne ogni espressione. Francesco Di Leva riesce efficacemente a interpretare un uomo in cerca di risposte ma incapace di porsi giuste domande: affaccendato, com’è, nel ricercare quell’auto pirata o nel portare a termine qualche sporco lavoro notturno. Nottefonda evoca storie di dolore e di accettazione dello stesso, di rabbia e di rinascita. Di ricerca di una propria identità, come uomini e come genitori: l'intento è nobile, la resa altalenante.