Già vola il fiore magro
Déjà s'envole la fleur maigre
Durata
85
Formato
Regista
La vita dei minatori europei, soprattutto italiani, migrati in Belgio per lavorare nelle miniere di carbone del Borinage durante l’inizio della crisi degli anni ‘60.
Il film si apre in un Luna Park, però l’atmosfera è difficilmente descrivibile come giocosa. Nel Borinage le miniere stavano chiudendo definitivamente, il tasso di disoccupazione era alle stelle, i minatori facevano la fame e soffrivano di silicosi; eppure il governo belga volle produrre un documentario che celebrasse le politiche d’integrazione ed esaltasse le condizioni di vita dei lavoratori, arrivati per sfuggire dalla miseria che pativano in Italia, Polonia e Iugoslavia. Paul Meyer venne scelto per dirigere il progetto, ma, una volta arrivato sul posto, si rifiuta di accettare i termini della propaganda. Abbandona l’idea di un’impostazione puramente documentaristica per seguire i protagonisti senza interferire direttamente con domande o didascaliche voci narranti: l’arrivo in treno, la nostalgia di casa, le ore a scuola e le fatiche della miniera e tutte le altre miserie e le piccole gioie vengono raccontate con sguardo sobrio e autentico, che non rifiuta scorci di straniante fascino, tra corpi stanchi ed emaciati e panorami soffocati dalle polveri delle cave. Il risultato è un film potente, che denuncia la difficoltà dell’integrazione e l’assenza di speranza lavorativa in una terra ormai sfruttata fino all’eccesso. Il Belgio non ci sta: ritira la pellicola dal mercato e ostracizza Meyer dall’industria cinematografica. Solo negli anni ‘90 fu messa in atto una necessaria rivalutazione. Imprescindibile, sia come documento storico che come prodotto artistico.