Stavisky, il grande truffatore
Stavisky
Durata
120
Formato
Regista
Storia di Stavisky (Jean-Paul Belmondo), imbroglione e truffatore, che diede vita a un vero e proprio scandalo nella Francia del 1934.
Le vere, seppur incredibili, vicende degli ultimi mesi di vita del banchiere ebreo Alexander Stavisky sono lo spunto per la sceneggiatura di Jorge Semprún: lo scrittore spagnolo aveva già realizzato per Alain Resnais lo script de La guerra è finita (1966), film con cui Stavisky, il grande truffatore ha più di un punto in comune. Tra i più evidenti, un ragionamento politico che cerca di attualizzare la figura mitica di Stavisky con la realtà dell'epoca post-sessantottina: come nei precedenti film del regista, ci si trova di fronte a un complesso mosaico temporale, di non immediata lettura ma di grande fascino. Belmondo ha il volto (da canaglia) perfetto per dare vita al suo celebre personaggio ma, mentre i dialoghi risultano credibili e scritti con grande cura, ben più forzato è il parallelismo tra Stavisky e l'esilio francese di Trockij. Un po' bloccato da questo punto di vista, il film risulta ben più forte e spontaneo quando concede spazio a un filo di umorismo, capace di spezzare almeno in parte i toni malinconici di una pellicola a tratti fin troppo seriosa. In questo caso, una maggiore semplicità narrativa e stilistica avrebbe giovato al, comunque sempre raffinato, regista francese.
Le vere, seppur incredibili, vicende degli ultimi mesi di vita del banchiere ebreo Alexander Stavisky sono lo spunto per la sceneggiatura di Jorge Semprún: lo scrittore spagnolo aveva già realizzato per Alain Resnais lo script de La guerra è finita (1966), film con cui Stavisky, il grande truffatore ha più di un punto in comune. Tra i più evidenti, un ragionamento politico che cerca di attualizzare la figura mitica di Stavisky con la realtà dell'epoca post-sessantottina: come nei precedenti film del regista, ci si trova di fronte a un complesso mosaico temporale, di non immediata lettura ma di grande fascino. Belmondo ha il volto (da canaglia) perfetto per dare vita al suo celebre personaggio ma, mentre i dialoghi risultano credibili e scritti con grande cura, ben più forzato è il parallelismo tra Stavisky e l'esilio francese di Trockij. Un po' bloccato da questo punto di vista, il film risulta ben più forte e spontaneo quando concede spazio a un filo di umorismo, capace di spezzare almeno in parte i toni malinconici di una pellicola a tratti fin troppo seriosa. In questo caso, una maggiore semplicità narrativa e stilistica avrebbe giovato al, comunque sempre raffinato, regista francese.