Giorni e notti nella foresta
Aranyer Din Ratri
Durata
115
Formato
Regista
Quattro amici di Calcutta decidono di trascorrere alcuni giorni di vacanza in una località nella foresta di Palmau. A ognuno di loro il breve soggiorno lascerà una consapevolezza diversa, prima del ritorno alle rispettive vite nella grande città.
Tra i lungometraggi più insoliti per struttura, personaggi e ambientazione, della filmografia di Ray, si apre con l'immediata introduzione dei quattro protagonisti, in quello che all'inizio appare come un road-movie tra le lussureggianti foreste del Bihar. Se nella prima parte conserva un registro goliardico e leggero, successivamente sfuma in toni crepuscolari sempre più malinconici, attraversati da numerosi segnali di morte. Nel finale i quattro giovani protagonisti, pur nella varietà delle singole situazioni, escono tutti sconfitti dalle esperienze vissute. La lettura che Ray sembra adombrare in questo apologo non ha quindi nulla di consolatorio o ottimista, lasciando piuttosto percepire una certa sfiducia in una generazione di giovani indiani troppo acriticamente uniformata ai modelli culturali occidentali. Unico nella lunga carriera del regista, può essere accostato a Una gita in campagna di Jean Renoir: come nel capolavoro del maestro francese la fuga dalla civiltà nell'ambiente rurale è una parentesi di scoperta e conoscenza. In sé conclusa e in apparenza risolta ma capace, per la sua intensità, di lasciare una traccia profonda dentro le vite dei protagonisti. Sapiente la regia, pregevoli le interpretazioni.
Tra i lungometraggi più insoliti per struttura, personaggi e ambientazione, della filmografia di Ray, si apre con l'immediata introduzione dei quattro protagonisti, in quello che all'inizio appare come un road-movie tra le lussureggianti foreste del Bihar. Se nella prima parte conserva un registro goliardico e leggero, successivamente sfuma in toni crepuscolari sempre più malinconici, attraversati da numerosi segnali di morte. Nel finale i quattro giovani protagonisti, pur nella varietà delle singole situazioni, escono tutti sconfitti dalle esperienze vissute. La lettura che Ray sembra adombrare in questo apologo non ha quindi nulla di consolatorio o ottimista, lasciando piuttosto percepire una certa sfiducia in una generazione di giovani indiani troppo acriticamente uniformata ai modelli culturali occidentali. Unico nella lunga carriera del regista, può essere accostato a Una gita in campagna di Jean Renoir: come nel capolavoro del maestro francese la fuga dalla civiltà nell'ambiente rurale è una parentesi di scoperta e conoscenza. In sé conclusa e in apparenza risolta ma capace, per la sua intensità, di lasciare una traccia profonda dentro le vite dei protagonisti. Sapiente la regia, pregevoli le interpretazioni.