
Mad Max: Oltre la sfera del tuono
Mad Max Beyond Thunderdome
Durata
107
Formato
Regista
Vagando senza meta nel deserto australiano, l'ex poliziotto Max Rockatansky (Mel Gibson) giunge a Bartertown, città governata dalla regina Aunty Entity (Tina Turner). Spinto a combattere per scardinare il monopolio energetico di Master (Angelo Rossitto), si ribella e viene mandato in esilio: l'incontro con un gruppo di orfani cambierà la sua prospettiva.
Terzo capitolo, dopo Interceptor (1979) e Interceptor – Il guerriero della strada (1981), della saga ideata da George Miller (che qui co-dirige insieme a George Ogilvie). Le conseguenze dell'apocalisse atomica, un'umanità ridotta a livello bestiale, il caos come nuova regola di sopravvivenza: elementi ormai stigmatizzati, ma Mad Max: Oltre la sfera del tuono pare regredire rispetto alla serrata compiutezza del film precedente, a causa di una sceneggiatura (firmata dal regista con Terry Hayes) meno coesa e di un ritmo più dilatato. Miller si dimostra cauto anche nella rappresentazione della violenza, diradando la furia selvaggia che sembrava dominare le prime opere e auspicando una labile speranza tramite le giovani generazioni, ma il tutto risulta poco incisivo e troppo referenziale. In ogni caso, da brivido l'ambientazione desertica, esaltata dalla fotografia di Dean Semler; e Tina Turner buca lo schermo grazie a un personaggio ambiguo e iconico. Musiche di Maurice Jarre, con la hit We Don't Need Another Hero, cantata dalla stessa Turner, a fare da traino.
Terzo capitolo, dopo Interceptor (1979) e Interceptor – Il guerriero della strada (1981), della saga ideata da George Miller (che qui co-dirige insieme a George Ogilvie). Le conseguenze dell'apocalisse atomica, un'umanità ridotta a livello bestiale, il caos come nuova regola di sopravvivenza: elementi ormai stigmatizzati, ma Mad Max: Oltre la sfera del tuono pare regredire rispetto alla serrata compiutezza del film precedente, a causa di una sceneggiatura (firmata dal regista con Terry Hayes) meno coesa e di un ritmo più dilatato. Miller si dimostra cauto anche nella rappresentazione della violenza, diradando la furia selvaggia che sembrava dominare le prime opere e auspicando una labile speranza tramite le giovani generazioni, ma il tutto risulta poco incisivo e troppo referenziale. In ogni caso, da brivido l'ambientazione desertica, esaltata dalla fotografia di Dean Semler; e Tina Turner buca lo schermo grazie a un personaggio ambiguo e iconico. Musiche di Maurice Jarre, con la hit We Don't Need Another Hero, cantata dalla stessa Turner, a fare da traino.