Gli anni Sessanta, decennio irripetibile per varietà di stimoli e di proposte artistiche e musicali, rivivono negli occhi di Michael Caine, che li ripercorre in veste di narratore a tutto campo.
My Generation è un documentario eclettico e molto ricco, sfaccettato esattamente come il periodo che mette in scena, caratterizzato da una rivoluzione culturale senza precedenti, che investì diverse sfere della società e dei costumi. Un momento ora demonizzato ora idealizzato, che in questo caso è invece opportunamente esplorato anche grazie alla presenza sopraffina e di gran classe di un attore come Michael Caine, voce narrante e gran tessitore di questo viaggio condotto dal divo da buon britannico, con un’ovvia predilezione autobiografica per la Swinging London, la Londra degli anni ’60. Il risultato è sicuramente ora diseguale ora convenzionale, nei modi e nelle forme, ma, nonostante i limiti evidenti, il documentario ha uno stile sgargiante e seducente e coinvolge per (quasi) tutti i suoi ottantacinque minuti di durata, con qualche sana zampata psichedelica tutt’altro che stonata e fuori posto e una sana alternanza tra racconti personali e materiale d’archivio (la Piccadilly Circus di oggi e di ieri crea uno stimolante cortocircuito temporale). Tante le interviste “’impossibili” con Twiggy, David Bailey, Mary Quant, i Rolling Stones, David Hockney e altri nomi di spicco del periodo. Presentato Fuori Concorso alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia.
My Generation è un documentario eclettico e molto ricco, sfaccettato esattamente come il periodo che mette in scena, caratterizzato da una rivoluzione culturale senza precedenti, che investì diverse sfere della società e dei costumi. Un momento ora demonizzato ora idealizzato, che in questo caso è invece opportunamente esplorato anche grazie alla presenza sopraffina e di gran classe di un attore come Michael Caine, voce narrante e gran tessitore di questo viaggio condotto dal divo da buon britannico, con un’ovvia predilezione autobiografica per la Swinging London, la Londra degli anni ’60. Il risultato è sicuramente ora diseguale ora convenzionale, nei modi e nelle forme, ma, nonostante i limiti evidenti, il documentario ha uno stile sgargiante e seducente e coinvolge per (quasi) tutti i suoi ottantacinque minuti di durata, con qualche sana zampata psichedelica tutt’altro che stonata e fuori posto e una sana alternanza tra racconti personali e materiale d’archivio (la Piccadilly Circus di oggi e di ieri crea uno stimolante cortocircuito temporale). Tante le interviste “’impossibili” con Twiggy, David Bailey, Mary Quant, i Rolling Stones, David Hockney e altri nomi di spicco del periodo. Presentato Fuori Concorso alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia.