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Non dimenticarmi – Don't Forget Me
Al tishkechi oti
Durata
87
Formato
Regista
A Tom (Moon Shavit), afflitta da un disturbo alimentare e ricoverata in clinica, è tornato il ciclo mestruale. L'evento la fa sprofondare nel panico: l’idea di riacquistare i chili perduti la spaventa a morte. Sembrerebbe un giorno da dimenticare, ma l’incontro con Neil (Nitai Gvirtz), suonatore di tuba con qualche problema di socializzazione, cambierà tutto.
Opera prima del regista israeliano Sam Nehari, Non dimenticarmi, che col mantra del titolo si chiude, è la storia d’amore tra due disadattati ai margini, che trovano nelle reciproche imperfezioni una forma tutta loro di affetto e di vicinanza. Un esordio senza ombra di dubbio acerbo ma vitale e sincero, nonché il racconto di una fuga che aderisce come un guanto alle scomposte e irrimediabili pulsioni eccentriche dei suoi protagonisti, scavando nella loro relazione con misura ma anche con un’empatia puntualmente sgraziata e talvolta, nei momenti più felici, perfino ammaliante. Il vagabondare del film, ambientato a Tel Aviv, è a tratti vanamente irrequieto e non sempre a fuoco, ma vi respira appieno il desiderio di abbracciare l’unicità di due sensibilità impossibili da incasellare con energia e rigenerante libertà. I siparietti non sono sempre dosati al punto giusto e qua e là fa capolino una certa pretestuosità, ma il disegno d’insieme è animato da un romanticismo spiazzante, peculiare, sinceramente toccante. Vincitore del Torino Film Festival nel 2017, in un concorso dedicato come di consueto a registi esordienti o pressoché tali e nel quale il presidente Pablo Larraín e i suoi colleghi giurati hanno tributato riconoscimenti anche ai due sorprendenti attori protagonisti.
Opera prima del regista israeliano Sam Nehari, Non dimenticarmi, che col mantra del titolo si chiude, è la storia d’amore tra due disadattati ai margini, che trovano nelle reciproche imperfezioni una forma tutta loro di affetto e di vicinanza. Un esordio senza ombra di dubbio acerbo ma vitale e sincero, nonché il racconto di una fuga che aderisce come un guanto alle scomposte e irrimediabili pulsioni eccentriche dei suoi protagonisti, scavando nella loro relazione con misura ma anche con un’empatia puntualmente sgraziata e talvolta, nei momenti più felici, perfino ammaliante. Il vagabondare del film, ambientato a Tel Aviv, è a tratti vanamente irrequieto e non sempre a fuoco, ma vi respira appieno il desiderio di abbracciare l’unicità di due sensibilità impossibili da incasellare con energia e rigenerante libertà. I siparietti non sono sempre dosati al punto giusto e qua e là fa capolino una certa pretestuosità, ma il disegno d’insieme è animato da un romanticismo spiazzante, peculiare, sinceramente toccante. Vincitore del Torino Film Festival nel 2017, in un concorso dedicato come di consueto a registi esordienti o pressoché tali e nel quale il presidente Pablo Larraín e i suoi colleghi giurati hanno tributato riconoscimenti anche ai due sorprendenti attori protagonisti.
