I padroni della notte
We Own the Night
Durata
117
Formato
Regista
New York, fine anni Ottanta. Bobby (Joaquin Phoenix) gestisce un locale notturno frequentato dalla mafia russa e ha cambiato cognome da Grusinsky a Green, prendendo le distanze dal fratello Joseph (Mark Wahlberg) e dal padre Burt (Robert Duvall), rispettabili poliziotti. Di fronte a un tragico evento, la famiglia sarà costretta a riunirsi.
Presentato in concorso al 60° Festival di Cannes, I padroni della notte segna il ritorno dietro la macchina da presa di James Gray dopo sette lunghi anni di silenzio (il suo film precedente era The Yards, del 2000). Il risultato è un affascinante dramma postmoderno dalle venature tragiche: con un approccio virile e curato in ogni minimo dettaglio, il film spicca per la sua capacità di unire l'azione – con sequenze di inseguimento da applausi – all'introspezione e la tensione alla riflessione familiare. In una New York fotografata da Joaquín Baca-Asay sotto una coltre algida e plumbea, Gray aggiorna il western e il noir, scegliendo però gli anni Ottanta, quasi a rivendicare un cinema (di genere) d'altri tempi. Il classicismo diventa così un orgoglio da ostentare, declinato attraverso tre personaggi maschili in apparenza adamantini, senza che le caratterizzazioni debbano rinunciare al chiaroscuro: emblematica la dialettica che attanaglia Bobby, diviso tra la sacralità della tradizione familiare e quella del “nuovo” nucleo criminale che gestisce i suoi affari. Maestoso e potente, tanto dal punto di vista narrativo quanto da quello visivo. Di grande erotismo la sequenza iniziale sulle note di Heart of Glass dei Blondie. Musiche di Wojciech Kilar.
Presentato in concorso al 60° Festival di Cannes, I padroni della notte segna il ritorno dietro la macchina da presa di James Gray dopo sette lunghi anni di silenzio (il suo film precedente era The Yards, del 2000). Il risultato è un affascinante dramma postmoderno dalle venature tragiche: con un approccio virile e curato in ogni minimo dettaglio, il film spicca per la sua capacità di unire l'azione – con sequenze di inseguimento da applausi – all'introspezione e la tensione alla riflessione familiare. In una New York fotografata da Joaquín Baca-Asay sotto una coltre algida e plumbea, Gray aggiorna il western e il noir, scegliendo però gli anni Ottanta, quasi a rivendicare un cinema (di genere) d'altri tempi. Il classicismo diventa così un orgoglio da ostentare, declinato attraverso tre personaggi maschili in apparenza adamantini, senza che le caratterizzazioni debbano rinunciare al chiaroscuro: emblematica la dialettica che attanaglia Bobby, diviso tra la sacralità della tradizione familiare e quella del “nuovo” nucleo criminale che gestisce i suoi affari. Maestoso e potente, tanto dal punto di vista narrativo quanto da quello visivo. Di grande erotismo la sequenza iniziale sulle note di Heart of Glass dei Blondie. Musiche di Wojciech Kilar.