Ragazze in uniforme
Madchen in uniform
Durata
88
Formato
Regista
In un collegio femminile, la quattordicenne orfana Manuela (Herta Thiele) viene assegnata all’insegnante von Bernburg (Dorothea Wieck), amata da tutte le ragazze. La passione di Manuela, però, andrà oltre, mettendo in crisi le rigide regole imposte dalla direttrice (Emilia Unda).
Primo e più importante film della breve carriera da regista dell’austroungarica Leontine Sagan (in questo caso con supervisione di Carl Froelich), è anche uno dei primi e fondamentali film sul lesbismo del cinema classico. Ma non solo. L’opera, che precede di due anni il seminale Zero in condotta, anticipa molti temi della pellicola di Vigo, con stile meno grottesco e immaginifico, puntando tutto su un realismo fortemente emotivo che sa toccare le corde giuste. Anche Ragazze in uniforme, infatti, a partire dall’ambientazione collegiale, mostra l’attrito tra giovani e adulte, denunciando l’incomunicabilità generazionale e la difficoltà a esprimere la propria identità in un contesto inibente e mortificante. La dicotomia principale è qui quella tra l’impulso amoroso (pre-erotico, ma non per questo meno intenso) e la rigida disciplina imposta dalla direttrice e dalla maggior parte delle insegnanti. Sono molte le inquadrature focalizzate sui dettagli dei personaggi, dai piedi in marcia che quasi ricordano quelli dei soldati, dalle mani pronte a dare ordini, al magnifico studio dei volti accorati delle protagoniste, che riportano un’immagine quasi eterea delle fanciulle e della signorina von Bernburg. Il senso di impotenza e asfissia è magistralmente messo in scena da una regia che esclude qualsiasi ripresa degli esterni, eccezion fatta per una manciata di inquadrature iniziali che alternano immagini di statue classiche e di campanili ieratici, che ben rispecchiano il senso di immobilità e tradizione cui le giovani devono sottostare nell’istituto. Ma non mancano i piccoli e comunque incisivi gesti di sovversione: la scoperta del corpo (proprio e altrui) attraverso un seno che rompe i bottoni dell’uniforme; la messa in pratica delle lezioni di fisica attraverso sputi e petardi; il ribaltamento del genere in una rappresentazione teatrale del Don Carlos di Schiller; l’ingenua libertà data dall’ubriachezza. Ovviamente però, il fulcro rivoluzionario principale è dato dall’esternarsi di attrazione e intimità tra donne, accettata dalla totalità delle studentesse come una situazione del tutto naturale che nessuna regola può sopprimere. Il finale, drammatico ma non tragico, regala momenti di ottimo cinema, con la sovrapposizione dei volti delle protagoniste, le inquadrature dalla tromba delle scale che parrebbero annunciare il peggio, e l’unione delle ragazze nell’affrontare di petto la direttrice, dando all’affranta Manuela quell’appoggio che era vietato, dimostrando l’inefficacia e la pericolosità di certe regole ferree che rendevano così fiera l’anziana prussiana e sottolineando la valenza salvifica dei rapporti umani più intimi e sinceri. Alla 1ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, vinse il premio del pubblico per il film tecnicamente migliore. Tratto da un dramma di Christa Winsloe, apertamente lesbica e tragicamente uccisa durante la Seconda Guerra Mondiale in Francia insieme alla compagna, accusate ingiustamente di essere spie naziste. Il film vedrà parecchi remake, tra cui uno messicano del ‘51, e uno del ‘58 con protagonista Romy Schneider.
Primo e più importante film della breve carriera da regista dell’austroungarica Leontine Sagan (in questo caso con supervisione di Carl Froelich), è anche uno dei primi e fondamentali film sul lesbismo del cinema classico. Ma non solo. L’opera, che precede di due anni il seminale Zero in condotta, anticipa molti temi della pellicola di Vigo, con stile meno grottesco e immaginifico, puntando tutto su un realismo fortemente emotivo che sa toccare le corde giuste. Anche Ragazze in uniforme, infatti, a partire dall’ambientazione collegiale, mostra l’attrito tra giovani e adulte, denunciando l’incomunicabilità generazionale e la difficoltà a esprimere la propria identità in un contesto inibente e mortificante. La dicotomia principale è qui quella tra l’impulso amoroso (pre-erotico, ma non per questo meno intenso) e la rigida disciplina imposta dalla direttrice e dalla maggior parte delle insegnanti. Sono molte le inquadrature focalizzate sui dettagli dei personaggi, dai piedi in marcia che quasi ricordano quelli dei soldati, dalle mani pronte a dare ordini, al magnifico studio dei volti accorati delle protagoniste, che riportano un’immagine quasi eterea delle fanciulle e della signorina von Bernburg. Il senso di impotenza e asfissia è magistralmente messo in scena da una regia che esclude qualsiasi ripresa degli esterni, eccezion fatta per una manciata di inquadrature iniziali che alternano immagini di statue classiche e di campanili ieratici, che ben rispecchiano il senso di immobilità e tradizione cui le giovani devono sottostare nell’istituto. Ma non mancano i piccoli e comunque incisivi gesti di sovversione: la scoperta del corpo (proprio e altrui) attraverso un seno che rompe i bottoni dell’uniforme; la messa in pratica delle lezioni di fisica attraverso sputi e petardi; il ribaltamento del genere in una rappresentazione teatrale del Don Carlos di Schiller; l’ingenua libertà data dall’ubriachezza. Ovviamente però, il fulcro rivoluzionario principale è dato dall’esternarsi di attrazione e intimità tra donne, accettata dalla totalità delle studentesse come una situazione del tutto naturale che nessuna regola può sopprimere. Il finale, drammatico ma non tragico, regala momenti di ottimo cinema, con la sovrapposizione dei volti delle protagoniste, le inquadrature dalla tromba delle scale che parrebbero annunciare il peggio, e l’unione delle ragazze nell’affrontare di petto la direttrice, dando all’affranta Manuela quell’appoggio che era vietato, dimostrando l’inefficacia e la pericolosità di certe regole ferree che rendevano così fiera l’anziana prussiana e sottolineando la valenza salvifica dei rapporti umani più intimi e sinceri. Alla 1ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, vinse il premio del pubblico per il film tecnicamente migliore. Tratto da un dramma di Christa Winsloe, apertamente lesbica e tragicamente uccisa durante la Seconda Guerra Mondiale in Francia insieme alla compagna, accusate ingiustamente di essere spie naziste. Il film vedrà parecchi remake, tra cui uno messicano del ‘51, e uno del ‘58 con protagonista Romy Schneider.