I rapporti tra la giovane vedova Bea (Claudette Colbert) e la governante di colore Delilah (Louise Beavers) si complicano quando la figlia della prima prende una cotta per il fidanzato della madre e la figlia della seconda inizia a voler fare di tutto per diventare bianca e non sentirsi discriminata.

Melodrammone strappalacrime del bravo artigiano Stahl, uno dei 36 membri fondatori dell'Academy of Motion Picture Arts and Sciences (AMPAS) che, nel 1929, istituirà il Premio Oscar. Pur dimostrandosi a suon agio nel genere, il regista newyorkese non riesce a evitare le trappole del sentimentalismo più bieco e, adattando l'omonimo romanzo di Fannie Hurst, spinge troppo sul pedale della commozione (forzata), con l'aggravante di non riuscire a innalzare il livello della messa in scena nemmeno con uno stile personale. Una gabbia di sofferenze e delusioni, su cui pesa un approccio tremendamente reazionario sulla questione razziale, tema alquanto scottante. Di interesse per un pubblico femminile in cerca di emozioni di stampo classico, servite con dignitosa professionalità. Di ben altra caratura la trasposizione del romanzo firmata da Douglas Sirk nel 1959, con Lana Turner luminosa protagonista.
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