Tyler (Nicholas Hoult), appassionato di cucina, porta la sua nuova compagna Margot (Anya Taylor-Joy) in un ristorante di altissimo livello, Hawthorne, su un’isola remota. Qui, l’acclamato chef Julian Slowik (Ralph Fiennes) ha in serbo un menu speciale per la giovane coppia e per gli altri fortunati clienti. 

Al suo quarto lungometraggio, il regista e produttore televisivo britannico Mark Mylod, realizza un’opera (ingenuamente e inutilmente) complessa, un thriller dalle tinte horror sul mondo della cucina. The Menu pone l’accento, con possibili rimandi a The Square di Ruben Ostlund, sul fanatismo borghese e sull’arte contemporanea, sempre più al centro di una spasmodica ammirazione. Il focus in questo caso si sposta sull’arte culinaria, o ancora meglio, su quella che lo chef Slowik definisce “gastronomia molecolare”. A gustare questo tripudio di sensazioni ci sono loro, i conviviali, un po’ Dieci piccoli indiani Agata Christie: ciascuno di questi personaggi è una caricatura di sé stesso, un’esasperazione della critica al ruolo che assurgono. Di conseguenza, l’esperta culinaria Lillian Bloom (Janet McTeer) è tanto saccente quanto incompetente, i tre business man sono (ovviamente) dei corrotti falsari così come l’attore e presentatore George Liebrandt (John Leguizamo) è codardo, bugiardo e ipocrita. Essi sono assimilabili a delle bestie, incapaci di apprezzare l’eccezionalità dell’esperienza e il prestigio delle portate. L’unico che apprezza il lavoro dello chef è Tyler, il quale però è ritagliato a macchietta, troppo ingenuo — o forse troppo perverso — per poter assaporare quei piatti. Dall’altro lato c’è Margot che, costruita secondo un’opposizione un po’ troppo netta, fa da grezzo contraltare alla ricca varietà di maschere presenti in sala. È lei a dover decidere da che parte stare: con chi offre (lo chef Slowik) o con chi toglie e sbrana (i conviviali). Nella deriva horror dell’opera di Mylod c’è tutta l’insoddisfazione delle passioni portate all’estremo: i piatti dello chef diventano sempre meno deliziosi e, mano a mano che i segreti vengono a galla, il clima si fa più delirante e confuso, facendo perdere al pubblico qualunque interesse per un prodotto che deraglia senza alcun equilibrio. Lo spettatore però è presto sazio e al dolce ci arriva appesantito e ormai privo di alcun appetito: la resa è indigesta e gli ingredienti messi in campo risultano dozzinali, tanto se presi singolarmente, quanto nell’insieme di un lungometraggio davvero dimenticabile.
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