The Woman with the Knife
La femme au couteau
Durata
78
Formato
Regista
Un giovane (Timité Bassori) è perseguitato dalla visione di una donna (Mary Vierya) che lo minaccia con un coltello. Un uomo in smoking (sempre Bassori) viaggia per le strade di Abidjan attirando l’attenzione per le sue stranezze: anche lui riceve le visite di una donna, che nessun altro riesce a vedere.
L’ivoriano Bassori dirige un film sull’alienazione post coloniale: la rottura tra l’attaccamento alla cultura africana e l’impulso verso una comoda occidentalizzazione crea una vera e propria schizofrenia, Tra psicoanalisi e cure tradizionali, infatti, il protagonista cerca di venire a capo delle sue ossessioni che, a partire dalla sfera romantico-sessuale, gli creano difficoltà in ogni ambito sociale. La sua storia è alternata a quella di un uomo che torna dalla Francia pieno di vezzi occidentali, ma che viene fatto internare in un manicomio in seguito ad allucinazioni su una donna che gli promette amore e protezione, e che non riesce invece a impedire un drammatico epilogo. Il regista disorienta lo spettatore attraverso l’alternanza delle due trame principali e tramite monologhi interiori che, pure se in apparenza sembrano scavare a fondo nella psicologia del protagonista, non arrivano mai a una conclusione definitiva. Nel finale, il ragazzo liquida la sua visione come un trauma adolescenziale causato da sua madre, negando una dimensione interculturale più ampia e complessa. Eppure lo spettatore non può che percepire motivazioni più profonde che il protagonista non vuole o non è in grado di affrontare. Lo stesso regista descrive la donna con il coltello come un’Africa che non vuole farsi abbandonare dai propri figli, ed è disposta a tutto per mantenere il suo potere su di loro, perfino a reinterpretare, con gustoso tono parodico, l’intramontabile scena della doccia di Psycho. Un film complesso, a volte troppo contorto nei suoi ragionamenti ma comunque sincero sul tema mai risolto della vita dopo la colonizzazione. Bassori non dà risposte e non è accomodante, e proprio questo rende la pellicola capace ancora oggi di mostrare il proprio spessore, nonostante la breve durata e qualche momento eccessivamente didascalico. Oltre alle donne-spettro di innegabile fascino, da non sottovalutare la scrittura del rapporto sentimentale con Mah (Danielle Alloh), a un tempo salvifico eppure vincolante a un ciclo di inestricabile ambiguità. La bella fotografia in bianco e nero e l’avvolgente selezione musicale sono la ciliegina sulla torta di una piccola perla da riscoprire.