I Was At Home, But...
Ich war zuhause, aber...
Durata
105
Formato
Regista
Dopo essere sparito per una settimana, Phillip (Jakob Lassalle), un tredicenne di Berlino, torna a casa senza dire una parola. Da questa esperienza, sua mamma Astrid (Maren Eggert) inizierà a cambiare la prospettiva della propria vita, sentendosi fragile e impotente di fronte alla crescita del ragazzo. Tale mutamento avrà delle ripercussioni anche sul campo artistico, nel quale la donna lavora come promotrice culturale.
Angela Schanelec firma un'opera molto concettuale e lontana dai canoni più accomodanti del cinema d'autore. Grazie allo spunto narrativo di un ritorno a casa completamente inaspettato, la regista provoca lo sguardo del pubblico per restituire sullo schermo un mosaico di personaggi e sensazioni mirato a porre l'attenzione su molteplici sequenze apparentemente lontane tra loro, ma che dovrebbero essere unite dal pensiero critico di chi guarda. Bastano pochi minuti, infatti, per capire come I Was at Home, But… sia un labirintico gioco di specchi finalizzato a disorientare e demolire le certezze tanto dei personaggi in scena quanto del pubblico in sala. Animali selvaggi, famiglie disgregate, ragazzi ribelli, teorie teatrali, venditori di biciclette: sono tutte maschere di un carosello più astratto e impalpabile del dovuto per riuscire a fare breccia. La regista tedesca mette decisamente troppa carne al fuoco e trascura gravemente l'importanza di una linea guida da suggerire al pubblico. Il risultato è un calderone di situazioni veramente disturbante e per nulla avvolgente. Ogni momento lascia il tempo che trova e la confusione regna sovrana, tanto in scena quanto negli occhi dello spettatore. Misteriosamente premiato per la miglior regia al Festival di Berlino 2019.
Angela Schanelec firma un'opera molto concettuale e lontana dai canoni più accomodanti del cinema d'autore. Grazie allo spunto narrativo di un ritorno a casa completamente inaspettato, la regista provoca lo sguardo del pubblico per restituire sullo schermo un mosaico di personaggi e sensazioni mirato a porre l'attenzione su molteplici sequenze apparentemente lontane tra loro, ma che dovrebbero essere unite dal pensiero critico di chi guarda. Bastano pochi minuti, infatti, per capire come I Was at Home, But… sia un labirintico gioco di specchi finalizzato a disorientare e demolire le certezze tanto dei personaggi in scena quanto del pubblico in sala. Animali selvaggi, famiglie disgregate, ragazzi ribelli, teorie teatrali, venditori di biciclette: sono tutte maschere di un carosello più astratto e impalpabile del dovuto per riuscire a fare breccia. La regista tedesca mette decisamente troppa carne al fuoco e trascura gravemente l'importanza di una linea guida da suggerire al pubblico. Il risultato è un calderone di situazioni veramente disturbante e per nulla avvolgente. Ogni momento lascia il tempo che trova e la confusione regna sovrana, tanto in scena quanto negli occhi dello spettatore. Misteriosamente premiato per la miglior regia al Festival di Berlino 2019.