Crisi, dubbi e problematiche esistenziali che colpiscono i membri di alcune famiglie di Taiwan, dei quali si segue la difficoltà ad affrontare una quotidianità sempre più ricca di incertezze.

Lungo ma per niente prolisso film che non lascia scampo alle emozioni, accomunando l'esistenza di persone diverse, ma tutte in qualche modo perse nel male di vivere e nelle difficoltà quotidiane, che siano quelle più pratiche o quelle più esistenziali (spesso un mix tra le due). Grazie alla maestria narrativa e stilistica, Edward Yang (anche sceneggiatore) evita la trappola di perdersi ed affogare nei mille rivoli delle narrazioni e nelle derive dei suoi personaggi, realizzando un ritratto complesso e completo della società che va ben oltre l'intimismo di fondo. Lo dimostra, a livello visivo, la scelta di incorniciare (con il predominio di campi medi) continuamente il volto e il corpo dei personaggi negli ambienti che li circondano, come fossero elementi fondamentali di un quadro più vasto altrettanto importante. Il ritmo avanza lento, ma implacabile per delicatezza e per forza emotiva. Toccante e girato con maestria. Premio per la miglior regia al 53º Festival di Cannes.
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