Kundun
Kundun
Durata
134
Formato
Regista
Vita di Tenzin Gyatso, nato Lhamo Dondrub, 14° Dalai Lama: appena bambino viene riconosciuto come nuovo capo spirituale tibetano e governa il paese fino all'invasione da parte della Cina di Mao Tse-tung, che nel 1959 lo costringe all'esilio in India.
Personaggio tra i più carismatici del Novecento, padre spirituale per milioni di buddhisti e non solo, il Dalai Lama è senz'altro una figura cinematograficamente intrigante; a ciò va aggiunto l'interesse per la storia tibetana fiorito negli anni '90 a Hollywood, testimoniato da opere come Piccolo Buddha (1993) di Bernardo Bertolucci e Sette anni in Tibet (1997) di Jean-Jacques Annaud. Scorsese, italoamericano cattolico cresciuto tra le strade newyorkesi, si accosta a una materia, per lui così lontana, con la purezza di un neofita ma con l'ambizione di realizzare un kolossal imponente su una questione storico-politica controversa come il dissidio tra Tibet e Cina comunista. Tenendo certamente presente la lezione visiva de L'ultimo imperatore (1987), sempre di Bertolucci, Scorsese mette in scena una sinfonia fatta di colori caldi e scenografie sontuose (encomiabile il lavoro di Dante Ferretti), accompagnata dalle suggestive musiche di Philip Glass, che ruota attorno al personaggio di un piccolo grande uomo schiacciato dalle responsabilità della Storia. Il film, inviso sia alle autorità tibetane che a quelle cinesi, può risultare prolisso, ma la mano del regista si sente con forza in alcuni momenti di grande impatto, in primis quello della distesa di monaci riversi in un oceano di sangue: un'immagine di cruenta bellezza. Ma non è l'unica sequenza da ricordare in una pellicola, comunque, potente e interessante, che fa più che bene il suo dovere di “biopic d'autore”.