Sabina Spielrein (Emilia Fox), dichiarata isterica, è la prima paziente su cui Carl Gustav Jung (Iain Glen) applica la psicanalisi. Il loro legame si stringe fino a trasformarsi in una travolgente relazione, destinata a concludersi per volere del medico. Tornata in Russia, Sabina diventa a sua volta psicoanalista e fonda, dopo la rivoluzione, un asilo in cui mette in pratica le sue teorie educative, malviste dal regime stalinista.

Faenza prova a rendere giustizia alla memoria di un personaggio che ha influenzato non poco la psicologia, ma il risultato è alquanto deludente sia nell'approccio alla materia narrativa sia nella resa, di matrice televisiva. L'idea del parallelo tra passato e presente, reso con continui flashback, è debole e viene sviluppata in maniera insulsa, così da non capire il motivo del suo inserimento. Interessante l'abbrivio in cui viene a definirsi il rapporto medico-paziente, decisamente più superficiale e patetico il resto. Non mancano buchi temporali, incongruenze e passaggi a dir poco disastrosi (gli studiosi che si procurano la lista dei bambini dell'asilo attraverso un ex agente del KGB). Dimenticabile.
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