Stray Dogs
Jiao you
2013
Paesi
Taiwan, Francia
Genere
Drammatico
Durata
138 min.
Formato
Colore
Regista
Tsai Ming-liang
Attori
Lee Kang-sheng
Yang Kuei-Mei
Lu Yi-Ching
Chen Shiang-chyi
Lee Yi Cheng
Lee Yi Chieh
Abbandonato dalla moglie per cause non precisate (forse problemi di alcolismo), un uomo (Lee Kang-sheng) si guadagna da vivere reggendo cartelli pubblicitari fra le trafficate strade di Taipei. I suoi due figlioletti (Lee Yi Cheng e Lee Yi Chieh) attendono il suo ritorno trascorrendo le giornate in enormi supermercati. Alla sera, dopo aver messo qualcosa sotto i denti ed essersi lavati il corpo nei bagni pubblici, i tre si addormentano in ripari di fortuna. Giunto al suo decimo lungometraggio e ormai intenzionato a ritirarsi dal cinema di fiction, il malese Tsai Ming-liang chiama nuovamente a raccolta i volti del suo cinema (dall'attore feticcio Lee Kang-sheng alle tre fedeli Yang Kuei-Mei, Chen Shiang-chyi e Lu Yi-Ching) e realizza il suo film più estremo e radicale per decostruzione della narrazione ed esasperazione della messa in scena. Ambientato in una Taipei mai così anonima e alienante, dominata da casermoni abbandonati e centri commerciali scintillanti, il film procede per successione di lunghi tableaux vivants — una scelta stilistica già alla base del progetto sperimentale Walker (2012) con cui Tsai aveva assimilato il proprio lavoro a quello di un pittore — lasciando allo spettatore il compito di rimettere insieme i pezzi di una storia appena accennata e già conclusa fuori campo. Poco importa allora se le immobili ed estenuanti sequenze sembrano non avere né un inizio né una fine, se lo stesso personaggio femminile viene contemporaneamente interpretato da tre attrici diverse, se i protagonisti passano senza soluzione di continuità da una metropoli frenetica a una misteriosa palude lussureggiante e se, a un certo punto, come per incantesimo il nucleo familiare si trova ricostituito in una casa/caverna sospesa fra sogno e realtà: portando alle estreme conseguenze il suo lavoro di sottrazione, Tsai libera la pellicola dalle regole della consequenzialità e propone allo spettatore un'opera di pura esperienza visiva. Mentre le normali coordinate spazio-temporali si annullano, gli attori smettono di recitare, liberi di muoversi (o rimanere inerti) in scenari accecanti e metafisici: Tsai ne scruta i volti gonfi di lacrime, ne registra i gesti vuoti e automatici (bere, mangiare, dormire, orinare), ne imbriglia le emozioni per poi lasciarle esplodere in pochi momenti di straziante intensità. Potrebbe essere un film sul doloroso distacco dalla persona amata o, più astrattamente, sui fantasmi che popolano la società contemporanea. Oltre ogni speculazione interpretativa — ma la possibilità di perdersi in suggestive decodificazioni è garantita dall'abbondanza di metafore e simbolismi — resta prima di tutto una coraggiosa pellicola che invita lo spettatore a rifondare il proprio sguardo su nuove basi, verso originali prospettive: acquista in questo senso un valore assoluto la lunga e ipnotica sequenza finale in cui, dopo aver fatto collassare il tempo su se stesso, Tsai conclude il suo viaggio fra le macerie e le memorie perdute di una preistoria del cinema. Assolutamente da vedere. Vincitore del Gran Premio della Giuria alla Mostra di Venezia 2013.
Maximal Interjector
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