Afternoon

Na ri xia wu

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137

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Regista

Seduti in una stanza spoglia e fatiscente, il regista Tsai Ming-liang e l’attore Lee Kang-sheng conversano liberamente di arte e cinema, cibo e viaggi, vita e morte. Il riferimento a una misteriosa malattia che tormenta il regista getta una luce malinconica sull’intero dialogo.



Dopo aver dato l’addio al cinema di fiction con il film testamento Stray Dogs (2013) e aver aggiunto due ulteriori capitoli alla saga del monaco errante Xuanzang, il mediometraggio Journey to the West (2014) e il cortometraggio No No Sleep (2015), Tsai Ming-liang torna al lungometraggio con una pellicola a metà fra il documentario e l’installazione (una sola location, un’unica inquadratura fissa e quattro long takes totali) in cui intrattiene una lunga conversazione con l’attore feticcio Lee Kang-sheng, volto e corpo prediletto del suo cinema già a partire dal film d’esordio Rebels of the Neon God (1992). Inizialmente imbarazzato, poi più sciolto e disinvolto, Tsai si mette completamente a nudo davanti alla macchina da presa, parla di sé e del suo incredibile rapporto con Lee Kang-sheng, rivela paure e fragilità, scherza, ride, piange, rievoca episodi del passato con estremo candore e cerca a più riprese di coinvolgere nel dialogo il suo laconico interlocutore, che preferisce limitarsi a poche stringate battute. Figura magnetica attorno a cui ruota l’intero cinema del regista, Lee Kang-sheng è anche in questo caso il vero baricentro del film: la sua presenza immobile, i silenzi caparbi, le lacrime trattenute risultano in definitiva ben più eloquenti del fiume di parole di Tsai e danno, in diretta e senza filtri, testimonianza viva di una relazione unica e inclassificabile, asimmetrica e quasi inesplicabile, che ha trovato massima espressione in un sodalizio artistico durato oltre vent’anni. Lo attestano i film girati insieme, che in uno dei passaggi più toccanti Tsai definisce semplici “rovine”, e ora questo oggetto misterioso, un delicato sguardo all’indietro che celebra e suggella il passato ma trema quando si tratta di fare accenno al futuro. Certamente l’ombra dell’autoreferenzialità si affaccia più di una volta nel corso delle due ore e chi non ha familiarità con il cinema del regista difficilmente vi troverà particolari motivi di interesse; resta però una pellicola a suo modo unica e preziosa, che è prima di tutto una toccante dichiarazione d’amore e gratitudine da parte di un artista nei confronti della sua musa ispiratrice. Presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia 2015.
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