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Far East Film Festival 24 – Il racconto della sesta giornata: romanticismo, classici restaurati e segni di vita da Thailandia e Indonesia
Cappuccino, brioche, aghi e fil di ferro. C'è compagnia migliore per la colazione che il capolavoro horror Audition di Takashi Miike? Probabilmente sì, ma le regole del mondo "normale" non si applicano durante il Far East Film Festival. E così i più mattinieri hanno potuto assistere, per la prima o ennesima volta, alla love story dagli esiti peggiori di sempre. Inizio di impatto di un programma giornaliero in cui il romanticismo la fa da padrone.

IL CONCORSO

Love Nonetheless (che, almeno stando al titolo, farebbe un bel double feature col Perhaps Love di qualche giorno prima) è il primo film della giornata presentato in concorso, ed è il frutto di una strana alleanza tra un regista, Hideo Jojo, specializzato in pinku film (i film giapponesi a tema erotico) e uno sceneggiatore, Rikiya Imaizumi, specializzato in commedie romantiche. Protagoniste di Love Nonetheless sono le vicende sentimentali di Koji (Koji Seto), introverso proprietario di un negozio di libri usati, corteggiato insistentemente da una liceale che dice di amarlo e a sua volta ancora innamorato di una vecchia fiamma, Ikka, vicina alle nozze con un altro uomo. Quando Ikka scopre che il futuro sposo la tradisce con la wedding planner, decide di vendicarsi tradendolo a sua volta; e il prescelto è proprio Koji. Love Nonetheless è un film che ha la leggerezza tipica delle produzioni giapponesi; la sceneggiatura di Imaizumi gioca con gli equivoci tra i protagonisti mentre la vivacità è data dall'elemento erotico, in cui il regista è specializzato. Soprattutto il futuro sposo di Ikka è al centro di una gag reiterata allo sfinimento, con moglie e amante che sviscerano la propria incapacità a letto, soprattutto se confrontata con l'inaspettata passionalità del timido protagonista; ma il discorso su amore e insoddisfazione sessuale non è approfondito. Troppo disilluso per essere un film romantico classico e troppo timido per essere una commedia erotica, Love Nonetheless è un film perfetto da vedere in una sonnacchiosa domenica pomeriggio e dimenticare entro cena.


Continuano le delusioni da Hong Kong che ormai sembra aver definitivamente perso qualsiasi genere di buona idea realizzativa. La premessa creativa di Far Far Away, del regista indipendente Amos Why, è stata presentata come una sincera lettera d’amore a Hong Kong, salvo però scadere in un prodotto piatto e banale. Protagonista del film Kaki Sham, attore comprimario di lungo corso, che ha finalmente il suo primo ruolo da protagonista nei panni di Hau, un ventottenne fanatico dell’informatica. Per fortuna o per puro caso, Hau inizia una relazione con cinque donne diverse, che vivono tutte in angoli remoti di Hong Kong: la vicenda ci porta in giro Hong Kon, in un film che sembra quasi più un lungo spot pubblicitario che non una dramma d'amore. Far Far Away si colloca in tal senso in piena coerenza con Dot 2 Dot, il dramma romantico di Why del 2014, trattando di due persone che creano una connessione romantica esplorando il paesaggio urbano e la storia di Hong Kong: il risultato però non è altrettanto soddisfacente. 

Unico thailandese ad avere vinto il Premio del Pubblico del Far East Film Festival, con Countdown (2012), il regista Baz Poonpiriya torna a Udine con la sua opera più personale e matura, One for the Road, per il quale si è avvalso della collaborazione di Wong Kar-wai! Presentato in anteprima al Sundance International Film Festival, One for the Road è stata l'unica nota positiva di una giornata discutibile, durante la quale non si sono placate le voci (speriamo infondate) sulla possibile assenza di Takeshi Kitano. Fin dal titolo un evidente road movie: incentrato su due migliori amici Boss, emigrato a New York, e Aood, che gli chiede di tornare a Bangkok, la narrazione gioca sulla realizzazione dell'ultimo desiderio del secondo malato di cancro. L'incipit è maestoso nel presentarci con assoluta classe la vita di un barman a Manhattan, in un film che fa della ricerca della perfezione estetica del dettaglio la sua carta meglio giocata. Trasportati attraverso la musica occidentale selezionata nella finzione dal padre di Aood, il viaggio alla ricerca delle passato dei due personaggi si trasforma in un percorso di progressiva scoperta da parte dello spettatore. Un espediente già visto che viene però dosato in maniera sapiente dal montaggio, meno per lunghezza dalle scelte fatte in sede di sceneggiatura. Il film rivela la maturità tecnica di Poonpiriya: se i suoi primi due lungometraggi ruotano attorno a crisi improvvise che coinvolgono sin da subito i personaggi principali, in One for the Road ci sono due uomini che tentano di rivisitare il loro passato per poi riprendere la loro nuova vita. Il ricorso a uno stile lento e commemorativo, dove la strizzata d'occhio a Wong Kar-wai è sin troppo esplicita, One for the Road è un viaggio riuscito nel ricordo degli anni Novanta sia per l’ambientazione sia per l’atmosfera e il tono. Ma mentre Wong vuole rivisitare gli anni Sessanta, l’ambientazione di Poonpiriya sono le città thailandesi degli anni Novanta. Il film riesce a parlare allo stesso tempo di amore, malattia, amicizia e soprattutto della spaccatura interna alla media borghesia thailandese. Poonpiriya intreccia in modo intelligente forme diverse di relazioni umane binarie in un paradosso di felicità e sofferenza insieme.


La giornata si chiude con la prima mondiale del coreano Thunderbird, neo-noir ombroso (anche fin troppo) ambientato durante una lunga notte invernale nella cittadina montana di Jeongseon. L'opera prima del regista e sceneggiatore Lee Jae-won segue le vicende di tre personaggi ai margini: Tae-min, poco di buono col vizio del gioco d'azzardo, Tae-gyun, il fratello, tassista suo malgrado per raccogliere i soldi per trasferirsi a Seul, e la fidanzata di Tae-min, declinazione contemporanea delle femme fatale del cinema noir. I tre protagonisti sono alla ricerca della macchina di Tae-min, un'Audi A4 con un adesivo Thunderbird (appunto) che i creditori gli hanno sequestrato. Ma gli strozzini non sanno che nel veicolo ci sono ben 50 milioni di won che Tae-min ha vinto al casinò locale, unica attrazione della città. Thunderbird è un film nero e gelido come la notte, troppo cupo per il suo bene e troppo lento sia in rapporto al genere che alla pur snella durata. L'esordiente Lee ha ben chiara l'atmosfera che vuole per la storia, ma non riesce mai a creare un coinvolgimento per i personaggi, ai quali avrebbe giovato più caratterizzazione. Il regista ha davanti a sé una lunga carriera e avrà tempo di sorprenderci, ma gli angoli da smussare sono ancora tanti.

FUORI CONCORSO

Ricca la programmazione del Visionario, dove gli amanti del cinema filippino hanno potuto ammirare in versione restaurata Manila in the Claws of Light, capolavoro di Lino Brocka amato e ai tempi riscoperto da Martin Scorsese. La proiezione rientra, insieme a quella del più recente Neomanila di Mikhail Red, nell'ambito della retrospettiva Visions of Manila, dedicata appunto alle rappresentazioni cinematografiche della capitale filippina. Sempre al Visionario gli spettatori hanno potuto ammirare uno dei film più apprezzati dell'anno scorso: Yuni, dell'indonesiana Kamila Andini (tenetela d'occhio), che ha recentemente presentato a Berlino l'ultima fatica Before, Now & Then. Yuni è una storia di emancipazione al femminile forte di una grande interpretazione della giovane Arawinda Kirana, premiatissima in patria, e della sceneggiatura della regista e di Prima Rusdi, veterana sceneggiatrice del cinema indonesiano. Un piccolo grande film forse passato un po' troppo in sordina, che meriterebbe in Italia un seguito più ampio.


Segnaliamo infine Kim Jong-boon of Wangshimni della regista Kim Jin-yeoul, ospite in sala, che aveva già diretto numerosi cortometraggi e lungometraggi documentaristici, lavorando sempre su inchieste legate al mondo del lavoro (Land, to Make Rice) o su avvenimenti storici come l’affondamento del traghetto di Sewol nel 2014 (Cruel State). Ha scelto la storia di Kim Jong-boon, venditrice di strada per cinqunt'anni, per raccontare la Storia della Corea del Sud e in particolare il suo processo di democratizzazione. Un documentario che non spicca per originalità realizzativa ma che scava in maniera convincente in quell’epoca pericolosa della storia sudcoreana, quando il presidente Ron Tae-woo mise in moto una campagna di repressione politica per sedare i movimenti democratici studenteschi. Diversi manifestanti vennero brutalmente attaccati dalla polizia e ci furono diversi morti, compresa la figlia di Jong-boon, all’epoca attivista e studentessa universitaria, un fatto che però non ha piegato nemmeno oggi una donna che ha combattuto per tutta la vita. 

A cura di Marco Lovisato e Andrea Valmori
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