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I migliori 10 film girati in bianco e nero negli ultimi 10 anni secondo Rotten Tomatoes

Malcolm & Marie è solo l'ultimo di diversi film girati in bianco e nero negli ultimi anni, e per l'occasione ecco la top 10 basata sulle valutazioni prese da Rotten Tomatoes, considerando gli ultimi 10 anni, da The Artist (2011) in poi:

10) Mank (David Fincher, 2020) - 83%



"Non si può raccontare la vita di un personaggio in due ore, ma solo dare l'impressione di averlo fatto" dice Mank in una delle tante citazioni metacinematografiche di un film che utilizza spesso le sue battute per parlare della lavorazione stessa di questa pellicola. La forma si fa presto contenuto, proponendo frasi tipiche di uno script che si sta delineando fin dalle primissime immagini: un film su uno sceneggiatore, ma soprattutto un film di sceneggiatura, in cui ancor più della splendida fotografia in bianco e nero (che richiama con alcuni giochi la pellicola dell’epoca) e di un sonoro che lavora in maniera coerente, sono soprattutto le parole a contare, all’interno di dialoghi fittissimi in cui la verve cinica, caustica e irresistibile del protagonista è soltanto il fiore all’occhiello. 

9) Frankenweenie (Tim Burton, 2012) - 87%



Fantascienza e horror si inseguono in un tetro e al contempo gioioso carosello in bianco e nero che beneficia, inoltre, di una nuova veste 3D. Ogni cosa è esattamente dove dovrebbe essere: ironia, sentimento, grandi trovate visive (su tutte, il geniale cimitero degli animali, come nell'originale) sono al proprio posto. Esilaranti e terrificanti i compagni di classe di Victor. Il professore di scienze Mr. Rzykruski, doppiato da Martin Landau, ha le inconfondibili fattezze di Vincent Price.

8) The Lighthouse (Robert Eggers, 2019) - 90%



La scelta di girare bianco e nero, in pellicola 35mm e con un formato quasi quadrato, se da un lato appare una scelta di massima aderenza filologica, dall'altro si configura anche come una sovrastruttura cinematografica fine a se stessa. La sensazione è quella di un costante cortocircuito espressivo, che massimizza il fascino dell'operazione nei primi minuti e si protrae in uno stato di stallo perenne fino all'epilogo. Il clima di tensione, naturale in un soggetto simile, si manifesta solo a tratti, la forma appiattisce il contenuto, la smisurata ambizione di procedere attraverso simbolismi religiosi, allegorie e possibili interpretazioni oniriche rende ostico un percorso narrativo in realtà quasi banale. 

7) Nebraska (Alexander Payne, 2013) - 91%



Nel pieno rispetto della tradizione del film on the road, il percorso fisico corrisponde, soprattutto, a una crescita interiore alla scoperta di se stessi. Assume così un ruolo centrale il rapporto padre-figlio, che permette di riflettere senza paternalismi sullo scorrere del tempo, sulle incomprensioni transgenerazionali e sulla gioia di vivere nascosta sotto alla scorza coriacea di chi è giunto al punto di fare un bilancio della propria esistenza. Ma la nostalgia non assume i tratti della rassegnazione e la presa di coscienza della senilità e della malattia (l'Alzheimer incombe) è trattata con garbo, ironia e fervido ottimismo. 

6) Frances Ha (Noah Baumbach, 2012) - 92%



Una pellicola ottimistica per combattere la crisi economica o un omaggio nostalgico alla nouvelle vague francese dei primi anni Sessanta? Frances Ha è entrambe le cose. Noah Baumbach segue la lezione intellettuale di Woody Allen e la spontaneità del cinema di John Cassavetes, tra una fotografia in bianco e nero dal sapore vintage e una colonna sonora raffinata e mai banale. 

5) Cold War (Pawel Pawlikowski, 2018) - 92%



La Guerra Fredda citata dal titolo non è (sol)tanto quella Storica, quanto quella umana vissuta da personaggi più cinici e insensibili di come possono sembrare. Una metafora decisamente calzante dei tempi odierni, dove i flussi migratori e la disillusione di un mondo unito e compatto risultano spesso di ostacolo per un cammino di unione. Alcuni potrebbero definire la struttura narrativa troppo rapsodica e minimale, ma è proprio nelle profonde ellissi temporali che sta il senso principale di un film in cui le pause (contraddistinte dallo schermo nero) contano quanto le altre sequenze, sia da un versante nostalgicamente sentimentale, sia da un altro profondamente politico: nonostante la narrazione spezzettata, il film riesce a raccontare il periodo storico vissuto dall’Europa dopo la Seconda guerra mondiale con maggiore attenzione rispetto a tante altre pellicole che vogliono descriverlo in maniera più “completa”. 

4) The Artist (Michel Hazanavicius, 2011) - 95%



Uno dei film più premiati nella storia del cinema francese, The Artist riporta lo spettatore moderno ai fasti del muto con leggerezza ma puntuale impegno filologico, con tanto di cartelli, didascalie e titoli, esattamente come era stato delineato il linguaggio cinematografico prima dell'avvento del sonoro. Un atto d'amore verso la Settima arte che procede attraverso un lavoro certosino di citazioni, rimandi e giochi meta-cinematografici, con l'intento di tornare a far risplendere l'Hollywood muta degli anni Venti, quella affascinata dalle grandi storie d'amore, dall'esotismo avventuroso e dai primi divi del secolo. 

3) Roma (Alfonso Cuarón, 2018) - 95%



Un film intimo e personale, ambientato negli anni della giovinezza del regista, privo di un cast di richiamo e girato in un bianco e nero folgorante, che sposa alla perfezione il ritmo e l'estetica di un progetto fortemente autoriale e decisamente lontano dai gusti del grande pubblico. Attraverso la parabola di Cleo (splendidamente interpretata da Yalitza Aparicio), il regista messicano costruisce una metafora cinica e severa della sua terra natia, intrecciando costantemente il dramma familiare con quello di un'intera nazione attraverso inquadrature di rara bellezza cinematografica, basate sulla profondità di campo e sull'utilizzo di piani-sequenza in grado di avvolgere totalmente lo sguardo dello spettatore per immergerlo in una realtà invadente che dalla lontananza riesce comunque sempre a farsi presente. 

2) Ida (Pawel Pawlikowski, 2016) - 96%



Magistrale racconto di formazione che mette a confronto educazione monastica e sentimentale, la claustrofobia dell'istituto e la libertà di una vita come le altre, il passato tragico e il possibile futuro. La ricerca della protagonista delle sue origini diventa un intelligente pretesto per scavare all'interno della storia polacca, dalla Seconda guerra mondiale al tentativo (impossibile?) di costruire una nuova identità. Coinvolgente e raffinatissimo, Ida unisce una profonda riflessione sui traumi esistenziali a una regia rigorosa e valorizzata da una fotografia in bianco e nero tanto glaciale quanto elegante. 

1) The Forty-Year-Old Version (Radha Blank, 2020) - 98%



Radha, dopo aver tentato la strada della drammaturgia a New York, per dare una svolta alla sua vita decide di diventare rapper: RadhaMUSPrime è il suo nome d'arte.

Fonte: Screenrant

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